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Domenica, 28 Aprile 2024
La domenica del villaggio

La domenica del villaggio

A cura di Mario Russomanno

Quando Carlo Brighi, Mussolini e Nenni progettavano la rivoluzione a Forlì

  A dare il via alle danze, e a quella formidabile tradizione, fu Carlo Brighi, per tutti Zaclen, gran violinista di Fiumicino di Savignano

Il Liscio, il ballo dei romagnoli, ha matrice rivoluzionaria. Lo sappiamo da sempre; chi ne ha approfondito gli aspetti storici e sociali lo ha costantemente affermato, primo fra tutti Aldo Spallicci già negli anni venti del Novecento.  A dare il via alle danze, e a quella formidabile tradizione, fu Carlo Brighi, per tutti Zaclen (lo scrivo senza accento sulla e, contrariamente alla tradizione, perché ho recentemente visionato una sua firma manoscritta), gran violinista di Fiumicino di Savignano, nato nel 1853, che abbandonò la carriera concertistica, dopo aver suonato anche con Arturo Toscanini, per dedicarsi alla musica romagnola. 

Zaclen, di cui scorgete una rarissima immagine in testa a questo articolo, dette il via, al tramonto dell’Ottocento, al folk romagnolo accelerando con il clarinetto in do i tempi di valzer, polka e mazurca, balli praticati dalla borghesia all’interno di circoli e palazzi cittadini e di magioni di campagna. Ambienti non accessibili alle classi rurali ed operaie che costituivano la larghissima maggioranza della popolazione. Folle escluse dai riti mondani, che nella nuova musica proposta da Zaclen, trovarono emozione, socialità e riscatto da condizioni di marginalità. Al grido unanime, “Tàca Zaclen”, divenuto proverbiale, gente che nulla possedeva prese a sentirsi protagonista di eventi gioiosi e unificanti.

Per questo motivo il Liscio divenne espressione di un popolo, appoggiandosi, via via, alla musica di Zaclen, di Secondo Casadei, di Raoul Casadei. Non esiste musica locale altrettanto radicata, in Italia. Tanto che si è recentemente costituito un movimento d’opinione che punta al riconoscimento del Liscio come Patrimonio dell’Umanità. Tutto questo lo sapevate già. 

Quel che vorrei descrivervi questa Domenica è, invece, la sfrenata passione politica, di cui molto meno si sa, di Carlo Brighi, che riposa dal 1915 nel Cimitero Monumentale di Forlì. In lui, in Zaclen, la vocazione artistica era inseparabile dalla tensione indirizzata al riscatto delle classi emarginate. Era un socialista convintamente rivoluzionario, amico personale dell’imolese Andrea Costa, storico leader. In un epoca in cui la contrapposizione politica, originata da insopportabili differenze nelle condizioni di vita, era furiosa.

Zaclen suonava ovunque in Romagna, divenne popolarissimo e celebre, adorato dalla gente e descritto con enfasi da giornalisti e scrittori. Eppure, figlio di un ciabattino, non si fece distrarre dal  successo e rimase costantemente ancorato alle ragioni degli ultimi. Tanto che la Prefettura di Forlì, città nella quale trascorse l’ultimo decennio di vita, in un appartamento  di Corso Garibaldi, al numero 33, lo teneva costantemente sotto controllo. Giudicandolo, secondo un allarmato dispaccio inviato alla Regia Polizia, “tenace militante socialista, in grado di esercitare forte influenza sul partito locale”.

Insomma, un pericoloso rivoluzionario fatto e finito, intenzionato a sovvertire l’ordine sociale. Il settimanale forlivese “La lotta di classe”, organo socialista dai toni bellicosi ed estremi, che usciva in quattro paginoni ogni sabato a Forlì, informava, tra feroci critiche al potere costituito, ai latifondisti e agli avversari politici in genere, dei concerti tenuti “dal compagno Carlo Brighi” e ne sosteneva la missione artistica. Sapete chi era il fondatore e direttore del settimanale? Benito Mussolini. 

Si, lui, che era al tempo socialista rivoluzionario e che un paio d’anni dopo sarebbe stato chiamato a Milano alla direzione del quotidiano socialista “Avanti”.  Abitava a Forlì assieme a Rachele Guidi,  la quale, nel 1910, in quelle anguste due stanze mise al mondo la loro primogenita Edda, in un poverissimo alloggio al secondo piano in Via Merenda, a pochi passi dall’ingresso dell’attuale Teatro Diego Fabbri. 

A circa duecento metri dall’appartamento abitato da Zaclen. Tra i due c’erano scambi continuativi, per motivi politici e per comunanza di vocazioni: giova ricordare che Mussolini era violinista appassionato e che anni dopo, in un suo libro, già duce del fascismo, avrebbe ricordato con trasporto i concerti tenuti da Zaclen.

C’è di più. Sapete chi abitava, nello stesso periodo, in Corso Mazzini a Forlì, al civico 5, a meno di un tiro di schioppo dalla dimora di Mussolini e da quella di Brighi? Pietro Nenni, che in seguito sarebbe diventato uno dei personaggi più influenti del socialismo italiano ed europeo del Novecento. Nenni che, attenzione, all’epoca era repubblicano e si era trasferito a Forlì da Faenza per dirigere la Cooperativa forlivese repubblicana dei braccianti. 

Senza addentrarmi nella complessa politica di allora, segnalo che anche il partito repubblicano aveva tendenza rivoluzionaria rispetto a quelli che oggi definiremmo poteri forti e al dominio pontificio sulle Romagne e tutelava la causa dei meno abbienti.

Tra Mussolini e Nenni, oltre ad accesi contrasti politici, ci fu a Forlì assidua frequentazione, molte volte raccontata anche da Rachele Guidi e da Carmen  Emiliani, moglie di Nenni. Caratterizzata dalle comuni, pesanti, ristrettezze economiche delle famiglie e sconfinata in una fraterna amicizia tra i due leader e tra le due donne. Amicizia rafforzata dalle notti trascorse assieme dai due sovversivi presso il carcere forlivese della Rocca, ove erano stati rinchiusi per decisione della magistratura. 

Amicizia mai venuta meno nonostante il distacco fisico e politico del ventennio fascista. Non c’è qui spazio per raccontarla, quella storia suggestiva, per di più non ne sarei in grado; consiglio a chi fosse interessato la lettura di un bel libro, “Mussolini e Nenni amici e nemici” pubblicato da Minerva nel 2015 e scritto da due grandi giornalisti forlivesi, Luciano Foglietta e Alberto Mazzuca.

Torniamo a Zaclen: è certo che abbia frequentato, al tempo, Mussolini. Anche al caffè Prati, in Corso Garibaldi, luogo d’incontro di rivoluzionari. Tra quei tavolini spesso si vedeva Nenni: nulla esclude, dunque, che Brighi lo abbia conosciuto e frequentato. Anche se,  almeno per quel che mi riguarda, non ne ho certezza. 

Sono certo, invece, della fondatezza di una curiosa circostanza, da collocarsi al confine tra politica e musica, ambienti che, nella Romagna di inizio Novecento, risultarono spesso contigui. Ve la racconto.

In quel periodo Benito Mussolini, accompagnato dall’amico Nicola Bombacci, altra figura di  rilevanza storica (nel 1921 sarà tra i fondatori del Partito Comunista Italiano e successivamente rappresentante del partito a Mosca), e di Angelica Balabanoff, conosciutissima rivoluzionaria russa naturalizzata italiana, inaugurò un pomeriggio, con un potente discorso, la Casa del Popolo di Villafranca, frazione forlivese che guarda alla campagna ravennate. Si trattava di un Circolo, ovviamente, a indirizzo socialista e rivoluzionario. I tre, Mussolini, Bombacci e Balabanoff da quella ispirazione erano mossi, con una tendenza anarchica più accentuata nella attivista nata a Chernihiv, in Ucraina. 

Bene. Nei locali di quella Casa del Popolo, coincidenze tra la grande Storia e quella più piccola della musica romagnola, una quindicina d’anni dopo, nel 1924, avrebbe esordito come violinista niente meno che Secondo Casadei, colui che nel 1954 avrebbe inciso “Romagna mia”. Aveva diciassette anni, Secondo, che prima di allora mai aveva suonato nel forlivese, quando il Cittadone era riconosciuto tempio della musica romagnola.

Era stato ingaggiato, alla bisogna, da Emilio Brighi, figlio di Zaclen e leader dell’orchestra che era stata del padre, appositamente per quei due importanti concerti domenicali: uno pomeridiano, all’aperto, a San Martino in Villafranca, e uno serale, al chiuso, a Villafranca, nella Casa del Popolo. 

Lì cominciò la carriera di Secondo: tornò a casa a mattina, svegliò i genitori e disse che avrebbe fatto per sempre il musicista, non il sarto, come avrebbe voluto suo padre.  Aggiungo che Secondo fu costantemente studioso e ammiratore della musica di Zaclen, l’anatroccolo geniale, del quale teneva una fotografia appesa in casa propria a Savignano, sulla parete dello studio ove il Maestro, “lo Strauss di Romagna”, si ritirava di pomeriggio a comporre. La foto di Zaclen l’anatroccolo, del quale l’indimenticabile Raoul Casadei, nipote di Secondo, diceva: “con lui e quel clarinaccio, dall’Ottocento in poi abbiamo fatto ballare tutto il mondo”

Zaclen il rivoluzionario, aggiungiamo noi, che con la sua musica trasmise passione e, perché no, speranza, a quel popolo le cui condizioni di vita avrebbe voluto cambiare con la politica. La musica folk romagnola, questo è il punto, ha natura anche rivoluzionaria. E’ la musica di un popolo, dobbiamo tutelarla, riscoprirla. 

Se ne parlerà anche nel corso delle due serate di spettacolo e grande musica che si terranno in Piazza Saffi a Forlì il 2 e 3 Settembre prossimi, con “Cara Forlì”. 

Non mancate, vi divertirete!

Buona domenica, alla prossima.
 

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