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Martedì, 30 Aprile 2024
L'omicidio del senatore

Omicidio Ruffilli per mano delle Brigate Rosse, "quando Assunta Montanari riconobbe il terrorista Fabio Ravalli"

In occasione del 36esimo anniversario dell'omicidio, lo storico Gabriele Zelli ricorda i tanti forlivesi che, nelle ore e nei giorni successivi all'attentato, con le loro testimonianze resero possibile il riconoscimento degli assassini

Era il 16 aprile del 1988 quando il professore Roberto Ruffilli venne ucciso da un commando terroristico delle Brigate rosse. In occasione del 36esimo anniversario dell'omicidio, lo storico Gabriele Zelli, all'epoca assessore all’edilizia pubblica nella giunta del sindaco Giorgio Zaniboni, ricorda i tanti forlivesi che, nelle ore e nei giorni successivi all'attentato, con le loro testimonianze resero possibile il riconoscimento degli assassini. "Testimonianze poi ribadite da ben 35 concittadini in tribunale durante il processo, senza che nessuno abbia rinunciato nonostante il clima decisamente cupo e preoccupante di quel periodo - introduce Zelli -. Così come va riconosciuto lo straordinario lavoro degli inquirenti, che in breve tempo catturarono gli autori dell'omicidio e i fiancheggiatori: Fabio Ravalli, Maria Capello, Franco Grilli, Stefano Minguzzi, Tiziana Cherubini, Franco Galloni, Rossella Lupo, Antonio De Luca, Vincena Vaccaro, Marco Venturini, Daniele Bencini, Fulvia Matarazzo".

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Argomenta Zelli: "Fra coloro che agli investigatori diede una precisa descrizione di uno dei terroristi vi fu la signora Assunta Montanari, che ho conosciuto perché madre Giorgio e Carlo Poni, il primo uno stimato professionista e il secondo un rimpianto professore dell'Università di Bologna. Era una persona nota anche perché, nonostante l'età molto avanzata, la si incontrava sempre in giro per la città molto indaffarata e mi meravigliava in estate vederla prendere da sola la corriera per recarsi al mare a Cervia. Ebbene Assunta, come si può leggere nella sentenza del processo emessa il primo giugno 1990 dalla Corte di Assise di Forlì, confermò di "aver visto, una settimana prima dell'attentato, all'incrocio fra via Merenda, via Bosi e via Petrucci, nei pressi di corso Diaz, una persona che ripassando di lì, dopo circa un quarto d'ora, aveva ben fissato in viso, perchè pensò fosse un ladro. Proprio per questo, rientrata in casa, dopo un po', ne riusciva, per verificare se ancora quella persona fosse lì e lì effettivamente era". "La descriveva come un uomo di media altezza", si legge sempre sulle pagine della sentenza, "di corporatura robusta, bruno coi baffi neri; lo riconosceva nella foto segnaletica effigiante Ravalli. In dibattimento, alla Montanari, che dichiara di ricordare ancora bene le caratteristiche fisionomiche dell'uomo, viene fatta fare una ricognizione di persona, facendola sfilare davanti agli imputati. Assunta Montanari senza alcuna esitazione indica in Ravalli la persona fa lei descritta come vista nelle anzidette circostanze a Forlì".

"L'atteggiamento della signora Assunta, così determinato e deciso, a distanza di molti anni è da ricordare per fare memoria di quanto senso civico permeava nei forlivesi negli anni Ottanta e Novanta, nonché per ribadire che occorre continuare a praticarlo e a insegnarlo", conclude Zelli. 

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