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Domenica, 28 Aprile 2024
Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Due passi nella protostoria alla Bertarina

La Bertarina e quegli scavi di 140 anni fa: l’urgenza di un percorso e di un museo archeologico per Forlì e per Antonio Santarelli

Sono giorni, quelli immediatamente successivi al Natale, in cui è facile spendere un po’ di tempo per smaltire pranzi e gozzoviglie, complice pure – questa volta - un tepore inaspettato. 
Forse non si renderanno conto i forlivesi che passeggiano sul percorso che dal parco urbano conduce al ponte vecchio di Vecchiazzano che, coi loro passi, è come se stessero tornando indietro nel tempo. Infatti, nel loro incedere spensierato stanno attraversando, o quasi, una città scomparsa: è lì a due passi, infatti, la Bertarina. Con questo nome s’intende l’antica terrazza triangolare che pianeggia alla confluenza del Montone e del Rabbi, appena al di sotto del centro sanatoriale poi polo ospedaliero. Accarezzata dalle acque incostanti dei due fiumi, questo territorio si ergeva quasi inespugnabile e, al contempo, fertile come una piccola Mesopotamia nostrana a due chilometri dall’attuale centro urbano. 

Il toponimo Bertarina richiama la berta, una macchina che serve per piantare grossi pali specialmente per le dighe. La tecnologia è molto antica, seppur ormai meccanizzata altro non vuole che un mazzapicchio pesantissimo che percuote il palo fino a farlo affondare, conficcandolo come un chiodo. E per conferma, in un’antica lingua gotica “bretan” significa “premere”, “colpire”. 
Solo la memoria dell’acqua del Montone e del Rabbi ha mantenuto questo segreto fin quando, nel 1883, Antonio Santarelli fu chiamato a interessarsene perché in uno dei campi che si estendevano in questo terreno vi si rivenne il tesoro in un pozzo. Venne svuotato, e da esso furono estratti diversi manufatti di epoche remote. Santarelli riuscì a convincere la Congregazione di Carità, proprietaria del fondo, ad approfondire con scavi archeologici. L’aveva vista giusta: infatti emerse un villaggio protostorico, una Forlì prima di Forlì. In effetti, intorno alla città come la conosciamo, hanno convissuto per secoli piccoli insediamenti rurali che sfuggirono per qualche tempo alla romanizzazione, restando fedeli a ritmi e modi di vivere antichi: italici ma non latini. Divennero poi miti satelliti della “metropoli” Forum Livii, e forse gli abitanti della Bertarina dai liviensi erano visti un po’ come sempliciotti arretrati, come “burini”, chissà, oppure affini ad antichi saggi di tempi perduti. 

Il lungo e paziente lavoro di Santarelli in quest’area restituì fondi di capanne con pali, pozzi, focolari, canalette, a prova di un villaggio ben difeso dai fiumi e da un fossato. E tanti oggetti di varie epoche, a prova che si trattava di un centro abitato, benché scomparso e senza nome, molto vissuto dall’età del bronzo fino alla tarda classicità. Dalla terra furono tratti, giusto per fare qualche esempio: vasi, corna di animali, ceramiche, un pugnale, spilloni in bronzo, tazze. Santarelli giunse alla conclusione che alla Bertarina c’erano “avanzi di una civiltà che ha tutta la fisionomia di quella terramaricola” e la sua gente “venne a contatto della prima età del ferro, lasciando poi il posto a popolazioni storiche”. In quegli anni, l’archeologo forlivese era membro della Commissione governativa di Belle Arti, Regio Ispettore agli scavi e monumenti di Forlì, direttore dei Musei civici e della Pinacoteca di Forlì. 

Passeggiando da quelle parti si costeggia quindi uno spazio fuori dal tempo, una zona lussureggiante dove trovarono sistemazione uomini del Neolitico: qui costruirono capanne in parte interrate e in parte costruite con pali e canne, rivestite di creta fluviale e con tetto in cannucce. Le capanne erano rotonde e avevano all'interno il focolare in terracotta. Le numerose buche si presentavano ripiene di terra nerastra, cenere e carbone. È la firma di popolazioni probabilmente provenienti dall’Appennino da cui erano scese seguendo il corso dei fiumi, capaci nella caccia e nella pastorizia, abili nel lavorare la selce per le armi, la creta per i cocci, la terra per i raccolti. 

Il centro abitato ebbe vita lunga, addirittura più lunga (per ora) dell’attuale Forlì. Si presume che sia esistito, infatti dal IV millennio a.C. al IV secolo d.C. I reperti rinvenuti nell’area coprono infatti un arco piuttosto ampio della storia antica e si constata che per almeno cinquecento anni Forum Livii e la Bertarina (chissà con che nome la chiamavano i suoi abitanti) siano esistite insieme. La sua fine, secondo Francesco Luigi Ravaglia segnata nell'anno 306, è da imputare a frequenti alluvioni che avrebbero spinto gli ultimi abitanti della città scomparsa a prendere casa a Forlì che, infatti, nel corso del IV secolo crebbe notevolmente in numero di abitanti e in estensione. 

Ciò che è rimasto di questa storia è conservato nel museo archeologico “Antonio Santarelli” di Forlì, anch’esso in attesa di essere riscoperto dopo troppi anni di ingiustificabile sepoltura nell’oblio. 
L’anno che sta concludendosi pare aver sbloccato l’annosa situazione della Ripa, si è tornato a parlare anche della Rocca e contestualmente del nuovo carcere. Gli scavi in Duomo porteranno novità e approfondimenti sulla Forlì antica. Il 2024 potrebbe essere un anno dove, a forza di scavare, la Città trova un po’ di forza per proiettarsi nel futuro? Dopo la tragedia anche culturale che ha spazzato via antiche memorie per negligenza dell’uomo lo scorso maggio, la Bertarina, la città scomparsa tra i due fiumi, dovrebbe essere oggetto di un vero e proprio percorso archeologico di tutela, di valorizzazione, per diventare terreno comune non solo per addetti ai lavori ma patrimonio di una Forlì che forse non sa di avere tanti secoli (e millenni) alle spalle e una memoria che merita d’essere raccontata senza complessi d’inferiorità. Già, perché se i forlivesi della Bertarina vissero prima della storia, i forlivesi attuali non restino a digiuno di storia. 

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