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Il Foro di Livio

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A cura di Umberto Pasqui

Un gennaio da brividi

Cronache dall’inverno del 1880, con canale e chiaviche ghiacciati e diversi giorni sottozero, ecco cosa riporta Filippo Guarini

Filippo Guarini, nel suo “Diario Forlivese”, non manca mai di annotare la situazione meteorologica di pressoché tutti i giorni a Forlì per lungo tempo, cioè dal 1863 al 1920. I quindici volumi e le oltre seimila pagine sono interessanti anche per questo: per esempio si può volare con la lettura al gennaio del 1880.  Non si leggono valori da primato, ma un lungo periodo sottozero con tanto di inversione termica (freddo in città, tepore in collina), Il compilatore, come al solito attento e scrupoloso, dedica grande spazio alla cronaca di quell’inverno reputandolo “eccezionale” e in effetti quelli immediatamente precedenti o successivi paiono lontani da episodi di simile disagio.

Si può iniziare a sfogliare, così, dal 6 gennaio: “Tempo sereno e nuvoloso a vicenda. Il termometro esterno segna -2 e scende nella notte a -4. Per essere l’acqua congelata nei condotti dei tetti e quindi senza scolo, la poca neve che va sciogliendosi nel mezzodì piove nelle case. Verso sera si vede una fitta e freddissima nebbia”. Il rigore insiste, e l’8 gennaio aumentano i particolari: “Tempo sereno e gran freddo; il termometro esterno segna -3 ½ e scende nella notte a -6. La eccessiva durata del gelo da oltre un mese ha fatto sì che, oltre ad un ghiaccio grossissimo nel fiume, il Canale è gelato fino al fondo, e vi si veggono sopra pezzi di ghiaccio di enorme grossezza. Fenomeno curioso poi è il vedere che i monti di là da Castrocaro e a Civitella sono senza neve, e chi vien di là assicura esservi una quasi primavera mentre noi non possiamo cavarci di attorno la neve stessa che, con leggero sì ma durissimo strato, cuopre ancora la maggior parte dei tetti. Il girare nelle vie è sempre pericoloso perché quel po’ di neve che il sole scioglie nel giorno forma un lastrone di ghiaccio per la notte”.

La situazione rimane più o meno simile per giorni, anzi, il gelo morde ancor di più, basti citare il 14 gennaio: “Tempo sereno e magnifico ma freddissimo, il termometro esterno segna -4 e scende nella notte a -7”. Il 15 gennaio, invece, è nuvoloso e “cade nel mezzodì qualche coriandolo”, fa capolino qualche timido fiocco di neve, ma non solo: “Un poco di pioggia caduta nel mattino e ghiacciata rende difficilissimo il girare per le strade e avvengono molte cadute. Sulle 9 ½ pomeridiane cade un po’ di neve che forma un leggero strato nelle vie”. 

Il giorno di Sant’Antonio Abate, cioè il 17 gennaio, il parroco di Ravaldino, don Achille Merendi “ha voluto rinnovare l’antica usanza di suonare le campane della chiesa alle 9 pomeridiane negli otto giorni che precedono la Festa, usanza che il popolo suol chiamare e’ pancott o la cavallena d’ Sant’Antoni e che erasi da vari anni abbandonata”. Ma questi scampanii dovevano risuonare nel gelo, perché il 20 gennaio, nonostante il sereno, il freddo è “insopportabile”, cioè nella notte si toccano gli otto gradi sottozero. “È proprio vero il proverbio che par San Bascian e’ trema la coda a e’ can”, e sì, ricorre San Sebastiano, quindi “il rigore della stagione è causa di mortalità e di molte malattie”. 

Stesse temperature per il 22 gennaio: “Il gelo continuo da ben 50 giorni ha sollevato anche più i selciati, tanto che molti portoni non vi si aprono che col guastare il selciato stesso e se sono smosse varie pietre del marciapiede. Grandissima rovina poi si prevede nelle campagne per varie piante come olivi, frutti ed anche per qualche vite; nei giardini è bruciato quasi tutto; meno male che la terra è ancora coperta dalla neve!”. Il 24 gennaio inizia la Novena alla Madonna del Fuoco ma “Resta chiusa né vi si può aprire la porta di fianco della Chiesa dal lato di mezzogiorno per essere quell’angolo della piazza del Duomo coperto da un grosso lastrone di ghiaccio”. 

Si fa cenno per la prima volta a un “lieve disgelo” solo il 25 gennaio, giorno della Conversione di San Paolo, o San Pévul d’ Segn e uno dei “segni” per quell’anno prevede “grande mortalità”. Però questa evenienza “mi pare che si sia verificata nei giorni scorsi a causa del rigido ed eccezionale inverno. Si era sparsa la voce che nelle vicinanze della città si fossero rinvenuti i cadaveri di due spazzacamini morti pel freddo ma non si verifica”. 

Il 29 gennaio, il disgelo “riduce le strade e le piazze a vere pozzanghere e l’acqua resta stagnante qua e là, perché le chiaviche sono otturate ancora dal gelo”. E, per quanto riguarda il 30 gennaio di quel 1880, Guarini annota: “Il Municipio fa pulire dalla neve congelata le strade nelle quali si cammina come in una palude per l’acqua che piove dai tetti disfacendo la neve che li cuopriva da una cinquantina di giorni”. 

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