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Il Foro di Livio

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A cura di Umberto Pasqui

I consigli di madonna Caterina

Un rimedio per tutto: la Tigre di Forlì sapeva essere sempre giovane e vigorosa, col segreto dell’acqua celeste

“È Caterina fra le più belle donne del nostro secolo, di elegante aspetto e dotata di forme mirabili”, così sosteneva Felice Foresti di Bergamo che ebbe modo di vederla dal vivo. Si tratta – è facile trarre le somme – di Caterina Sforza, la Tigre di Forlì che ha lasciato un libro con 471 ricette e pozioni. Gli “Experimenti della excellentissima signora Caterina da Furlì” altro non sono che suggerimenti, intrugli, consigli su come guarire dalle malattie o conservare la bellezza. 

Districandosi tra le pagine del ricettario di Caterina ci si imbatte in un’enciclopedia di soluzioni che, nel mondo contemporaneo, avrebbero reso molta fama pure virtuale o digitale che dir si voglia. Alcune sembrano davvero assurde, quanto meno per gli ingredienti. Altre derivano da chissà quali depositi di conoscenze alchemiche, indicazioni empiriche ereditate da speziali, e molto è farina del sacco della donna davvero esigente in tema di autorità e di cura del corpo. La sua ossessione per la cosmesi, vocabolo con la stessa origine di “cosmo”, cioè ordine, abbraccia la sua ferrea disciplina nel non darla vinta al tempo, alle ingiurie dell’età, alle vessazioni dei morbi, per resistere come ai nemici restando bella, giovane, potente. Tutt’altro dunque che “resiliente”, questa signora, le rughe dovevano essere cacciate in quanto forse ancora più odiose dell’esercito del Duca Valentino. La lingua in cui scrive il tutto talora è latina, talora italiana, talora un misto, talora un po’ romagnola, talora un po’ milanese, talora in codice o cifrata, solo per pochi. Non si risparmia, poi, nei suggerimenti afrodisiaci. 

Moltissime ricette sono alla rubrica “a far bella”. Per migliorare il proprio aspetto, per esempio, consiglia di ungere il viso, il collo e le mani con “albume de ova de galline” con “lardo de porco raspato” in emulsione con “oleo comuno aceto”. Così facendo, le parti interessate “deventeranno bianche et lucente come uno argento”. Più comprensibile è l’uso di polvere di zolfo in acqua di rose per togliere le “bolle in faccia”. Per guarire le “mano crepate” occorre “succo di ortiga et un poco di sale”. Chi volesse “color del viso” dovrebbe mescolare “rasura dello avorio vechio” con vino o con acqua. Chi desiderasse, per contro, “la faccia bianchissima” dovrà servirsi di “sapone de pecora” o “de castrato” con “oleo rosato et argento vivo” da stendere ogni sera e lavare con acqua calda ogni mattina. 

Per farsi venire i capelli ricci bisogna usare “corna de castrone”, bruciarle e “fanne polvere” da mescolare in “olio comune” e con ciò lavarsi il capo. Le foglie di edera bollite con la cenere, invece, danno “capelli biondi et belli”. I calvi che bramassero una chioma, prendano invece “grasso de talpa” mescolato con un po’ di “mele crudo”, l’unguento sulla testa farà sì che “capelli sensa dubio nasceranno”. In alternativa si possono distillare delle sanguisughe (sic!) con il muschio. Si leggono altre decine di rimedi contro la calvizie e per colorare il capello, curare la barba oppure, al contrario, per “far cadere peli che mai più tornaranno”. 

Assai importante è la cura dei denti: pestando “cornetti de capretti” e raccogliendo la polvere facendola bollire nel vino darebbe un ottimo dentifricio specialmente per le gengive. Per avere “denti chiari lucenti et belli” occorre abbrustolire “del gambo del rosamarino” fino a renderlo “carboni”. Gli erboristi poi si diletteranno in vere e proprie composizioni botaniche “a guarire dolori colici”, oppure per “nervi atratti” e “la schiaticha”. Per farla breve, ecco un rimedio “a guarire omne dolore et che non se sappia de causa”: “Piglia oleo de Camomilla masticis turis cera nova termentina”, poi “un croco” e “fa onguento”. Quindi “piglia mollica di pane et coci in vino ottimo che sia in modo de pultiglia” e ciò sarà da porsi “per dì e per nocte” sopra la parte dolorante “grosso amodo de impiastro id est ceroto”. 

Caterina Sforza, inoltre, sapeva come guarire “omne persona lunatica, fantastica et malenconica” con acqua di nove molini diversi e altra “stillata da radici de nibbi”. Ciò sarebbe, dopo bollitura, da bere “omne matina a digiune per nove matine”. Tale procedimento deve essere accompagnato da una “untione” pestando insieme “grassa de troia et terra” da spalmare “dal collo sino al groppone et denanti al petto et allo stomacho”. Dopo qualche sera si guarirà. Per rinvigorire la memoria suggerisce anacardi, semi di edera, trementina e “aceto fortissimo”. 

Si descrivono rimedi contro la peste, contro il “male della costa”, contro il “male della puntura”, per guarire da “morsicatura de uno cane” (con foglia di ortica tritata nel sale) e “de serpente”, per sgonfiare la milza o per guarire “li vermi alli putti”. Ci sarebbe da perdersi ad ascoltare la parola scritta di Caterina la quale talora usa accostamenti bizzarri, ingredienti ancora identificare, e spesso garantisce che il rimedio funziona perché “provato” o addirittura “provatissimo”. Anche se capita che consigli rondini distillate (!) per problemi legati ai capelli. Per fare ricrescere le chiome altresì suggerisce polvere di rane, lucertole e api essiccate al forno oppure l’applicazione sulla fronte di mastici vegetali, una lastra di piombo e pezze bagnate nel sangue di pistrello. Per la Tigre, inoltre, il finocchio sarebbe indicato per la vista tra suggestioni e analogie: letto diversamente è “occhio fino”. Per la pelle si abbonda in proteine: albume, olio, grasso di agnello, sego di vitello, di maiale, olio di mandorle, farine vegetali. Non mancano ricette a base di vari tipi di legno o polvere di metalli, talora derivati dal piombo per schiarire la carnagione. 

Tuttavia la ricetta più intrigante, propria dell’amore per il “cosmo” di Caterina, contro il “caos” generato dal tempo che scorre, può dirsi la cosiddetta “acqua celeste”. Tale pozione “è de tanta virtù che li vecchi fa devenir giovani et se fosse in età di 85 anni lo farà devenir de aparentia de anni 35, fa de morto vivo cioè se al infermo morente metti in bocca un gozzo de dicta aqua, pur che inghiottisce, in spazio di 3 pater noster, ripiglierà fortezza et con l’aiuto de Dio guarirà”. Altro non era che un tonico con decine di ingredienti distillati e lavorati. Vi si poteva trovare, per esempio: salvia, basilico, rosmarino, garofano, menta, noce moscata, sambuco, rose bianche e rosse, incenso, anice. Caterina era convinta che il risultato fosse capace di vincere qualsiasi malanno e di rendere meno evidenti gli indizi del passare degli anni.
 

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