rotate-mobile
Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Le Compagnie degli Orti di Forlì

Nell'irrequieto Ottocento, gli orti che facevano da cintura alla città furono la sede di adunanze carbonare. I "circoli all'aria aperta" vennero sciolti nel 1874.

Per secoli l'immagine che dava di sé Forlì era quella di una città protetta da una cerchia di solide mura con le quattro porte definitive, alimentata da canali e mulini, circondata, entro le mura, da un'ampia fascia di orti. Questo mondo, questo modo di vivere e guardare la città è completamente scomparso, il Novecento ha cancellato uno status immutato per - più o meno - mezzo millennio. Ma qui si vuole parlare di orti in un modo diverso: sotto la dominazione pontificia, nell'irrequieto Ottocento, sorsero delle associazioni di operai e artigiani che avevano eletto come sede di incontro i freschi pergolati degli orti in luogo delle osterie dall'aria decisamente più stantia. Erano le "Compagnie degli Orti". Dove, nei giorni feriali, un viavai di postiglioni e contadini che, con asini, cavalli, birocci e biroccini scaricavano i prodotti della campagna e trafficavano per le vie della città, di domenica accadeva qualcosa di speciale.

Tra una canta, una partita a bocce e uno (o più) bicchier di vino, si adunavano uomini al fresco. L'intento era inizialmente quello di passare una domenica all'aria aperta, tra amici. Avveniva così da tempo immemorabile ma è nell'Ottocento che le Compagnie degli Orti di Forlì acquisiscono una valenza più che ludica o ricreativa. Infatti, con geniale e comune intuizione, i forlivesi iniziarono a occuparsi di politica lasciandosi andare al fervore per la parte preferita. I papaloni filogovernativi non erano particolarmente graditi e queste adunate assunsero un carattere risorgimentale. Già le osterie erano diventate pericolose per i frequenti diverbi, spesso violenti, tra l'una e l'altra parte, i più intuirono che era preferibile vedersi alla luce del sole. Inoltre, nel luglio del 1847 fu creato il Battaglione forlivese della Guardia Civica da Pio IX, fatto che fu visto come primo nucleo di un esercito urbano da impiegare il prima possibile contro gli austriaci per la causa dell'indipendenza italiana. Ecco, dunque, che le Compagnie degli Orti si trasformano in laboratorio di idee, di condivisione di propaganda servita col vino rosso. Visto l'appetito di molti concittadini, aspetto ancora contemporaneo, v'è traccia di abbuffate di agnello in compagnia, e a seguire comizi, interventi, dibattiti. A poco a poco, più sale la tensione politica, più gli orti diventano gli antenati dei Circoli che hanno caratterizzato il Novecento sociale locale. Così, tra i pergolati freschi e umbratili, si cospirava, si mormoravano sedizioni. Erano carbonari all'ombra, specialmente mazziniani, di diverso censo. Quando il potere pontificio faceva la voce grossa, le Compagnie degli Orti uscivano compatte dalla città (come cercando un Aventino forlivese) e già quest'azione era considerata un atto clamoroso, tanto da far chiudere le serrande dei negozi con conseguenti multe salatissime. Insomma, la Forlì ottocentesca registrava società segrete che s'incontravano sotto le foglie, fatti che divennero quasi una prassi specialmente per i repubblicani avvinti all'edera. Spesso le Compagnie degli Orti si radunavano anche nei giardini di possidenti in modo tale da mascherare la seduta proibita come se fosse una festicciola rurale. I raggruppamenti, espressione del consociativismo democratico d'ispirazione mazzinana, non dovevano essere molto numerosi: vi facevano parte, come detto, per lo più artigiani e apprendisti sotto l'egida dell'avvocato Ercole Ceccarelli.

Se, sino alla fine della loro storia, rimasero adunanze apolitiche, è chiaro che i forlivesi del tempo fossero particolarmente infervorati dai moti risorgimentali e appassionati a un vento che stava portando un assestamento nuovo. Da lì al raduno di sovversivi il passo è breve. Per l'Eroe dei due mondi, poi, v'era un infatuamento generale, giusto per fare un piccolo esempio: l'8 maggio 1864 le donne di Forlì regalarono 43 anelli a Giuseppe Garibaldi. Il 2 luglio 1871 dagli orti si avvertiva il suono del campanone della Torre Civica che salutava l'ingresso di Vittorio Emanuele II in Roma, fresca capitale d'Italia. Intanto si sfogliavano avidamente giornali e riviste.

Con l'avvento del Regno d'Italia, le Compagnie degli Orti continuarono comunque a esistere ma se dallo Stato Pontificio furono tollerate, i sabaudi aspettarono un po' per poi mettere mano a tali incontri che avevano assunto sfumature sempre più scomode. Così il 9 agosto 1874, un decreto prefettizio sciolse tali singolari sodalizi. Questa la motivazione: Ritenuto che le diverse Società degli Orti in Forlì costituite sotto varie denominazioni, allontaronsi dal loro scopo, ed assunsero manifestamente lo spirito di società politiche. Con le seguenti conseguenze: Saranno sequestrate le carte, gli oggetti ad esse appartenenti nelle rispettive sedi, e il tutto verrà consegnato all'Autorità Giudiziaria con i relativi verbali di sequestro. Il provvedimento - com'era prevedibile - inasprì la già (allora) focosa indole dei forlivesi e subito sorsero Compagnie apertamente politiche con una vivace attività. Si chiamavano: "Carlo Cattaneo", "Balilla", "Italia Irredenta", "Masaniello", "Fratelli Bandiera"... I tempi degli orti erano finiti. 

Si parla di

Le Compagnie degli Orti di Forlì

ForlìToday è in caricamento