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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Pizze bollite e fuochi artificiali

Ecco la festa della Madonna del Fuoco dei tempi che furono, quando nel bel mezzo della piazza si incendiava una macchina luminosa

Come si festeggiava la ricorrenza della Beata Vergine del Fuoco nella Forlì di trecento anni fa? Ecco alcuni spunti tratti da un cronista anonimo che – ahimé, è fin troppo laconico – ha lasciato alcune impressioni manoscritte ora conservate nel fondo Dall’Aste Brandolini presso l’Archivio di Stato di Forlì. Si tratteggia una particolare sontuosità liturgica, la musica (con un “oratorio” allestito all’interno dell’attuale palazzo municipale), e, ben più chiassosi dei lumini artificiali, veri e propri fuochi artificiali in piazza. 

Nel 1718 si fa menzione del “sollito oratorio nel publico Palazzo” cantato nel giorno della “festa della Beata Vergine del Foco”. Dopo ciò, “I Signori di quel Magistrato tratennero le Dame che intervennero con il divertimento del Giuoco”. Per quanto riguarda il 1719 “si solennizzò la festa della Madonna del Foco con la solita musica della Città”, se non che viene evidenziato un aspetto “singolare” benché messo al verbale con una punta polemica: “il ricco trono di mons. Vescovo tutto di tela d’oro con veluto riccio sopra riccio, spesa fatta indebitamente da custodi di questa con le carità contribuite da cittadini a detta Immagine in occasione della di lei esposizione in congiuntura di suplicarla per qualche grazia”.

Nel 1720 “con bona e tolerabile musica” fu accompagnata “l’annuale festa della Beata Vergine del Foco” e “l’antecedente sera della Vigilia doppo cantati i primi vesperi si diede foco nella Publica Piazza ad una compresente machina di fochi artificiali”.Tuttavia, non troppi godettero di queste “alegrezze”: “vi concorse poca foresteria a causa delle due pessime giornate l’una della Vigilia, l’altra della medema festa”. Inoltre, “in detto giorno si cantò la sera, doppo i Vespri, nella sala del Pubblico Palazzo il consueto Oratorio asistito da mons. Vescovo e Magistrati con il concorso di un numeroso stuolo di Dame”. 

Ora si osi una fuga in avanti: provando a intuire, tra le righe ben più dettagliate di Filippo Guarini, come nella seconda metà dell’Ottocento si viveva la ricorrenza. Il “Diario forlivese” conservato nei Fondi antichi della Biblioteca Comunale “Saffi” regala particolari con dovizia. Così, il 3 febbraio 1880 è “tempo sereno e magnifico” ma “alle ore 7 ¾ antimeridiane si sente una leggerissima scossa di terremoto in senso ondulatorio”, tuttavia la Vigilia è il giorno “che ogni buon forlivese santifica con strettissimo digiuno e colle tradizionali pizze e ciambelle bollite”. Anche in questo caso c’è la musica, diretta dal maestro Enrico Colombani anche ai Vespri Solenni e si legge come la tradizione dei fuochi d’artificio in piazza, perdurante almeno dal Seicento, ancora quell’anno è ben viva. “La sera alle 6 ½ s’incendia nella Piazza Maggiore la solita Macchina di fuochi artificiali, a spese del Santuario di Maria Santissima del Fuoco, alla presenza di innumerevole popolo”. Simile al presente “si veggono i lumi alle case e in alcune botteghe, consueta e spontanea dimostrazione di affetto verso quella gran Madre”. 

Il giorno 4, inoltre “si vede un insolito movimento”, “correndo gran gente per tutto il giorno a venerare la Sacra Immagine, scoperta agli occhi dei devoti, e facendosi moltissime Comunioni al suo Altare”. Il Pontificale del Vescovo è “alle 10 ½” e “per la prima volta i Sigg. Canonici indossavano la veste paonazza e i Sigg. Mansionari la mozzetta, privilegio loro concesso da S.S. Papa Leone XIII”. Nel pomeriggio "si cantano i secondi Vespri Solenni, come di consueto. Alle 3 pom. Nella Piazza Maggiore si estrae una Tombola di Lire 1000 divisa in 3 premi”. Segue, per la precisione, il nome del fortunato: “La prima tombola è vinta dal Sig. Pio Romagnoli economo comunale a metà con un altro; le cartelle di 10 numeri costano 40 centesimi”. 

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Pizze bollite e fuochi artificiali

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