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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Paradosso Mercuriale

Il Santo è antico ma moderno, determinante ma misterioso: quale fu la sua prima Cattedrale?

C’è stato un tempo in cui San Mercuriale non era San Mercuriale. Ecco, detta così potrebbe ingenerare confusione, in effetti s’intende dire che l’antica chiesa che più di altre, col suo campanile possente, simboleggia Forlì, era dedicata a Santo Stefano. A un certo punto, però, prese il nome del primo vescovo di Forlì. Accadde – sembra – quando ancora non c’era il campanile, quindi un periodo di tempo così remoto da esser più vicino a leggende che a storia documentata. 

Dunque San Mercuriale (abbazia di) per Forlì significa il simbolo più visibile della città, più identificativo. Eppure San Mercuriale (vescovo) porta con sé il mistero di un uomo venuto da lontano e arrivato qua prima del V secolo. Forse non fu proprio il primo ma di sicuro organizzò la vita della Chiesa locale o le diede impulso. Se si pensa che a quel tempo non era ancora caduto l’Impero Romano d’Occidente cercare informazioni sul più famoso armeno di Forlì non è proprio cosa semplice. Eppure c’è il corpo, conservato da quindici secoli o più e che con tecnologie moderne può tornare a parlarci. Che cosa potrebbe raccontarci? Quale domanda per primo gli si potrebbe rivolgere? Dopotutto, è il forlivese più antico che ancora è sulla bocca di tutti, quotidianamente. 

Su di lui corre voce che costruì chiese, insediò cattedrali, storici si contraddicono in tenzoni tra documenti perduti. C’è chi lascia intendere che la prima Cattedrale della città fosse la chiesa della Trinità la quale, secondo Sigismondo Marchesi fu “dal medesimo Santo edificata”. Ma di questo Mercuriale, evangelizzatore armeno, presto si sarebbero perse le tracce fino a essere confuso (ancora per dirla con Marchesi) con “un nuovo Mercuriale II, che in tempi più felici governò questa Chiesa”. A giudizio di Marchesi e altri cronisti che, postumi, si sono districati con una certa creatività in vicende accadute secoli prima della loro memoria, l’attuale abbazia di San Mercuriale si chiamerebbe così in onore di Mercuriale II “che in quella chiesa era molto tempo vissuto, e l’havea arricchita di molte sacre reliquie, lasciatovi etiandio il suo santo cadavere doppo la morte”.

Mercuriale I, invece, stava alla Trinità “con la sua sedia episcopale antica di marmo” (che ancora è visibile) e fu qui sepolto. Finché nel 1176 fu traslato il corpo di Mercuriale I dalla Trinità a San Mercuriale ma alla Trinità ne fu lasciata la testa che ora è conservata in un prezioso reliquiario. Da questo momento è Mercuriale II a sparire dalla storia, se mai ci fosse entrato. La narrazione confusa del Marchesi attinge da più fonti, fornendoci, come suo stile, un testo prolisso proprio di chi non vuole lasciar fuori niente e nessuno. 

Un cronista poco considerato ma da cui copiarono i successivi (Marchesi compreso) fu Sebastiano Menzocchi, vissuto nella seconda metà del Cinquecento. Storico, cronista, certo: anche se il meglio di sé lo diede come pittore. Scrisse che nell’anno 1176 “essendo l’Abate Pietro della Chiesa et Pieve di S.to Mercuriale” fu traslato il “S.to Corpo del Beato Mercuriale dalla Chiesa della Santissima Trinità nella Chiesa et Pieve di S.to Stefano al presente chiamato S.to Mercuriale”. Chi c’era? Taddeo arcivescovo d’Armenia, Matteo vescovo di Sebaste, gli abati Pietro, Giacomo e Guglielmo. Inoltre erano presenti “tanti prelati”, e c’era “tutto il popolo forlivese con grandissimo honore et devotione”. Furono “conferite molte indulgenze et perdonanze” e “perché il popolo forlivese era tanto devoto di S.to Mercuriale suo Pastore et per li molti miracoli stupendi che havea fatto in vita et facea in morte, fecero un gran Conseglio generale dopra li S.ti meriti di S.to Mercuriale”. Il Consiglio deliberò che “ogni anno l’ultimo giorno d’Aprile fosse fatto una pomposa et celebre festa, et si corresse un palio di valore di veluto”.

Il Palio di San Mercuriale! Perché il 30 aprile? Perché era il giorno del Santo prima che fosse spostato al 26 ottobre. Il percorso della competizione iniziava “dal ponte del Roncho” correndo “dentro la Città per il borgo et porta de Cottognia sin in palazzo” (oggi è il Municipio). Il cronista, però aggiunse: “et al presente non si fa”. Il giorno di San Mercuriale era inoltre una sorta di capodanno istituzionale: c’era un rito di “homaggio” per i popoli sudditi di Forlì che per la Città era “segno espresso di fedeltà et obedienza”, si pagavano censi e “offerte” e si nominavano le cariche politiche: capitani, podestà e “gli altri debitti ufficiali, dando li confaloni, chiamati li confalonieri”. Grazie a queste offerte, nel giro di una manciata d’anni sarà edificato l’altissimo campanile di San Mercuriale. 

Ora, Leone Cobelli scrisse nella seconda metà del Quattrocento ed è la fonte forse più saccheggiata di tutte. Oltre ai suoi scritti, anche il misterioso e frammentario testo degli “Annales Forolivienses” (in latino) tenta di dare qualche informazione antica.
In Cobelli, il paragrafo “como fo trovato el corpo de santo Mercoriale” non menziona il fatto che originariamente fosse nella chiesa della Trinità. Il testo sarà poi ripreso fedelmente da Menzocchi ma questi aggiunge tale particolare fin da subito, e qui davvero non se ne parla. Vero è che si leggono anche molti puntini, essendo il testo in parte perduto. Ma secondo Cobelli la prima cattedrale fu Santo Stefano, poi San Mercuriale, costruita dallo stesso Mercuriale. Secondo gli “Annales Forolivienses”, invece Mercuriale costruì la chiesa della Trinità e qui insediò la prima Cattedrale. La confusione è da mal di testa, sembra che addirittura ci siano state tre cattedrali per tre Mercuriali sebbene sia da ritenersi poco attendibile questa triplice visione, lasciando la più semplice come più plausibile. Per quel che ora si sa, è meglio prendere sul serio la “lectio facilior”: Mercuriale visse prima del Quinto Secolo, la Cattedrale è sempre stata Santa Croce. 
 
Sebastiano Menzocchi invece confermò l’ipotesi della “Cattedrale della Trinità” disattendendo Cobelli. Da qui, grazie anche al facile testo dello storico forlivese scrivente in volgare a lui contemporaneo, si diffuse questa storia. Perché gli diede tanto credito? Un motivo ci sarebbe: apparteneva alla parrocchia della Trinità. Nel 1929, Adamo Pasini, commentando la versione del pittore cinquecentesco, scriverà: “Io non dirò che il Menzocchi sia proprio l’inventore della leggenda: credo che l’abbia trovata fra il popolo e l’abbia scritta per il primo”. 

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