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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

L'uomo da 80 miracoli

Il Beato forlivese Marcolino Amanni riposa in Duomo. Il suo sarcofago originale fa bella mostra di sé in Pinacoteca. Non sarà il caso di riscoprire la storia di quest'uomo speciale?

La frusta del caldo estivo si fa sentire e pur sempre si vedono gruppi ritrovare Dante nel Museo di piazza Guido da Montefeltro. Tra i numerosi personaggi di rilievo che, tempo fa, abitavano quel luogo già adibito alla vita di ritiro e di contemplazione, ce n'è uno che non può passare inosservato.  Sono passati tanti secoli dalla Forlì ruspante di Cecco e Pino Ordelaffi: l’inverno del 1397 fu aspro e duro, il freddo imponeva un rigido coprifuoco. Nella mattina di mercoledì 24 gennaio chi per ventura era tra le vie dell’urbe poteva ascoltare la voce di un bambino di sette anni, vestito di bianco, che gridava camminando sulla neve. Il suo grido portava l’annuncio della morte di padre Marcolino del convento di San Domenico, il “Santo”. 

I più accorti notarono che quel bambino non lasciava impronte sulla neve: nessuno prima di allora aveva visto il fanciullo e nessuno lo vide più. I forlivesi, attratti dal richiamo, chiusero botteghe e interruppero le altre attività per accorrere al convento. Marcolino era davvero morto, proprio mentre il bambino misterioso ne pronunciava l’addio.  Tanto fu l’afflusso di popolo che per tre giorni non si poté mai chiudere la chiesa di San Domenico né di giorno, né di notte. Giovedì 25 gennaio per otto ore continue, un vento impetuoso investì Forlì, abbattendo alberi, rovinando case. I frati, per frenare la marea di popolo, decisero di tumulare la salma di notte e in segreto.  Ma fu un segreto di Pulcinella: allora una moltitudine disseppellì il cadavere. Al quarto giorno la salma fu calata dove era stato sepolto il corpo di Giacomo Salomoni, poi Beato, nella chiesa di San Domenico. La bufera di vento si rinnovò con veemenza. 

Marcolino Amanni è una di quelle testimonianze antiche che hanno accompagnato la storia della città fino a sbiadirsi, per poi scomparire o quasi, nel secolo scorso. Non esisteva forlivese nobile o plebeo, ricco o povero, che non si fosse confessato da lui per ricevere il suo conforto e la sua assoluzione. Ma la sua fama nasceva dai miracoli che fece da vivo e che continuò a fare dopo morto. Ne furono autenticati, per mano di un notaio sotto giuramento, più di ottanta: guarì dolori di testa, di fianchi, d’intestino, di stomaco, tumori, ulcere, febbri, sordità, ferite mortali. Inoltre diede l’udito a sordi, la vista a ciechi, schiena dritta a gobbi, liberò indemoniati e rinsavì un pazzo. E poi predicava il futuro dei loro cari alle madri ed alle spose. Il 20 gennaio 1397 sull’altare di San Domenico avvertì i fedeli che quella che stava per celebrare sarebbe stata l’ultima sua messa. E così fu. 

Ogni anno, il 24 gennaio, si celebrava a Forlì la sua festa con fuochi artificiali, corse di cavalli e composizioni poetiche. Nel 1746 i vescovi di Forlì e di Cesena, i XC Pacifici e l’aristocrazia liviense inviarono a Papa Benedetto XIV appassionate suppliche acciocché questo culto fosse riconosciuto ed approvato dalla Santa Sede. Cosa che avvenne nel 1750, conclusione del processo diocesano iniziato nel 1626.  Il corpo del Beato forlivese riposa in una teca sul secondo altare nella navata sinistra del Duomo, mentre l’arca in marmo che ne conteneva le spoglie ora è conservata in Pinacoteca, proprio nelle stanze in cui il domenicano un tempo si ritirava in preghiera. Trascorreva i momenti liberi nella sua piccola cella a pregare e a discutere con un’immagine della Madonna col Bambino, dipinta su legno. Nato a Forlì nel 1317, a soli dieci anni scelse di seguire l’ordine di San Domenico e fu predicatore fino alla morte, avvenuta settant’anni dopo, il 24 gennaio 1397, sotto il governo di Pino II Ordelaffi. 

Il nome del Beato Marcolino è annoverato tra i più importanti riformatori dell’ordine dei predicatori giacché diede un grande contributo al ripristino della regola domenicana su ispirazione di Santa Caterina da Siena e su impulso di Raimondo da Capua. "A Forlì – si legge nella sintesi del Martirologio romano - beato Marcolino Amanni, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che visse tutta la vita in grande umiltà e semplicità, nel silenzio, nella solitudine, nel servizio dei poveri e nella cura dei fanciulli". Diventò quindi un predicatore dotto e convincente ma la sua giornata era dedicata ai miseri, ai bambini, agli ammalati. Predicò anche sull’altra sponda dell’Adriatico, specialmente a Ragusa, in Dalmazia. Tornato a Forlì, scelse una vita di penitenza assai dura fino a prevedere la sua morte due giorni prima che accadesse. La devozione dei forlivesi fu fortissima, accentuata da grazie straordinarie, miracoli, e dall’intenso odore di santità che promanava dal corpo del Beato. Secondo le testimonianze, ogni giorno si recavano davanti al suo sepolcro 1.300 fedeli.  Nel 1750, Papa Benedetto XIV confermò il suo culto, oggi però ricordato da un popolo più ristretto. 

Testimone di umiltà e modello di virtù fin da bimbo, le fonti raccontano delle estasi che viveva durante la celebrazione delle messe e di quella immagine mariana che teneva nella sua cella, un’intensa tempera su tavola conservata in città, attraverso la quale la Madonna parlava con lui. Il corpo del Beato fu trasportato in Cattedrale dopo la soppressione al culto della chiesa di San Domenico nel 1867. I suoi contemporanei, nel tratteggiarne un ricordo, ne sottolineano la semplicità, l'umiltà. Si narra che la sua predicazione e i suoi prodigi sollevassero le risa dei confratelli, da cui era considerato più che un profeta, un indovino. Nessuno, nemmeno tra i domenicani forlivesi, avrebbe scommesso sulla santità dell'uomo. Santità che ufficialmente è riconosciuta nel grado di “Beato”, suscitato alla morte di Marcolino a furor di popolo. Non mangiava mai carne ma solo erbe e durante i pasti e la messa aveva delle estasi che i frati leggevano come sonnolenza; era considerato, inoltre, sordo, giacché non sentiva il clangore dei campanelli. 
Il suo ministero nascosto e silenzioso si svolse tra poveri, sofferenti e ragazzi. Si narra che un fanciullo, mentre i confratelli stavano per sotterrare il corpo del predicatore, si mise a gridare per la città, e la città riempì la chiesa e il convento dei domenicani, costringendo costoro a procedere a una sepoltura notturna. Fu quella la prima evidente richiesta di immediata canonizzazione da parte del popolo forlivese, popolo che oggi pare averlo dimenticato. Il mattino dopo la sua sepoltura, vi fu un afflusso straordinario di devoti, tanto che alcuni osarono disseppellirlo per venerarlo. 

Avvennero più di ottanta miracoli mentre il suo corpo emanava un profumo intenso, tanto che lo si dovette rivestire più volte dell'abito, tagliato per farne reliquie. Così riferisce Giovanni Dominici, vicario generale per la riforma dei conventi italiani, dopo aver eseguito indagini tramite il priore di Venezia, fra Marsilio da Siena e due testimoni.  Nel 1398 a Forlì si tenne il capitolo generale dell'ordine domenicano e fu l'occasione per prendere atto dei fatti miracolosi avvenuti presso il sepolcro di fra Marcolino. Nel 1457, per proteggere il corpo del Beato, furono chiamati Bernardo e Antonio Rossellino che scolpirono uno splendido sarcofago in marmo lunense, opera finanziata da Nicolò dall'Aste, patrizio forlivese e vescovo di Recanati. 

Nel 1867 San Domenico fu chiusa al culto. Marcolino divenne poi uno dei Patroni di Forlì, città che, nonostante le apparenze, ha salde radici religiose.  Radici che spesso affondano in quel fertile humus che fu l’esperienza domenicana liviense, con troppa disinvoltura cancellata da Napoleone prima e dall’Italia di fresco unita, poi. Così la devozione popolare per figure straordinarie è sbiadita fino a scomparire pressoché del tutto. 
 

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