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Lunedì, 29 Aprile 2024
Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Prodigi di Borgo Cotogni

Alcuni episodi curiosi della vita di un giovane prete del Settecento forlivese: Lucio Carrari, personaggio da riscoprire

Vox populi… Nel Settecento, per le vie di Forlì, si diffondeva la fama di santità di un giovane prete, don Lucio Carrari, vissuto tra il 1690 e il 1761. Il suo nome uscì allo scoperto già nel 1717, anno in cui si prese carico della chiesa di Santa Maria della Pace che si trovava su Borgo Cotogni, odierno corso della Repubblica, all’interno del perimetro di ciò che oggi è il “MegaForlì”. Il personaggio oggi è sconosciuto perché pochi anni dopo la sua morte arrivò Napoleone e, se ciò non fosse accaduto, probabilmente oggi sarebbe nel calendario dei santi. Della chiesa dov’era sepolto non rimane più traccia e s’è persa la memoria di un uomo sicuramente intraprendente, a cui buona parte del popolo forlivese fu riconoscente. 

Nella Forlì settecentesca, invece, era sulla bocca di tutti la sua personalità carismatica: la sua occupazione principale era assistere agli infermi in ospedale quasi tutto il giorno. Fasciava piaghe, amministrava i sacramenti e somministrava medicinali. La sua opera principale, appunto, si svolse nel ventennio compreso tra la canonizzazione del forlivesissimo Pellegrino Laziosi (1726) e di Camillo de Lellis (1746) ponendosi come discepolo di entrambi i santi. L’accelerazione della storia in senso materialista, con la tempesta Bonaparte, impedì una ponderata riflessione sul suo operato, sulla sua testimonianza, sul suo carisma, e nessuno avanzò passi per una possibile beatificazione. 

A proprie spese riorganizzò gli spazi e rivide la struttura della vecchia chiesa, facendo diventare l’edificio su Borgo Cotogni un ostello che anche oggi, vista la vicina collocazione del Campus universitario, avrebbe potuto svolgere il suo ruolo. In particolare, dal 6 novembre 1733 iniziarono le visite agli infermi, o nel vicino ospedale “Casa di Dio” (oggi Palazzo degli Istituti Culturali) oppure di casa in casa. Col desiderio di alleviarne le sofferenze si prendeva cura degli allettati – quasi sempre moribondi – di qualsiasi ceto, con altri due o tre sacerdoti con cui condivideva la missione. La sua presenza confortava e accompagnava molto spesso al trapasso nel modo più sereno possibile. Per approfondire la storia di quest’uomo e della sua opera basti cercare su Amazon il volume “La Pace in Forlì” e ciò dovrebbe essere sufficiente.

Di lui si riportano fatti curiosi che qui si descrivono in modo sommario, sperando che chi legge non si eserciti a fare le pulci su se e in che misura siano avvenuti accettando invece come la narrazione storica li ha a noi consegnati. Nella Forlì del tempo erano celebri i suoi responsi. A una persona che temeva di sottoporsi a un’operazione dolorosa promise: “Non dubitare, il tutto riuscirà in bene”; così fu. A un’altra che soffriva giacché dava per scontata la morte di un suo caro disse: “Risanarà”, infatti in breve si riebbe. Nel corso di una visita di una casa, davanti a una bambina rivelò: “Questa si farà Capuccina”, e ciò sarebbe più avanti accaduto. Oppure affermava: “Questa non si farà religiosa nel nostro monastero” e in seguito la novizia avrebbe cambiato strada. Frequentando comunità religiose femminili, quando si ammalava una monaca “mandava a dire se dovevano morire o ritornare, e veniva vero tutto quel che diceva”. Una fanciulla forlivese desiderava entrare in clausura ma la madre era contraria perché la riteneva troppo cagionevole ed esile. Intervenne don Lucio assicurando che “pronta è questa figliuola”, chiedendo alla genitrice di farla “adempire alla sua vocazione, perché l’Onnipotenza di Dio sarà quella che opererà in essa cosa ammirabile”. La ragazza presto divenne “di fiacca in forte, di debole in robusta” fino a essere in grado di “reggere alle maggiori fatiche ed alle asprezze più rigide”. 

Alla sezione “prodigi” si registrano strani avvenimenti. Delle monache si rivolsero a lui dopo aver constatato che una botte di vino era ormai danneggiata e aveva corrotto il prezioso vino contenuto. Don Lucio ne chiese un’ampolla e constatò: “Ma questo è buono”. Si narra poi che un forlivese fu colpito da una forte emicrania che gli impediva il sonno. Giunto da don Lucio, fu da lui guarito all’istante con un tocco di mano. Numerose erano le testimonianze del suo tatto guaritore: bastava che “dicesse loro due sole parole, ovvero senza parlare” e, posta la mano sopra la testa delle persone che si rivolgevano a lui, esse “si sentivano subito allegerite da loro scrupoli ed inquietudini”. Non guariva solo da mali del fisico (soprattutto emicranie e nevralgie) ma anche da quelli che oggi sarebbero ascritti alla “psiche”, cioè l’ansia, l’inquietudine, il turbamento, l’angoscia profonda, la malinconia. La persona che ricorreva a lui “subito si sentiva solevata” e nell'imminenza della morte la paura si dissolveva. Tale opera di vicinanza nella sofferenza e nell’agonia, continuata qualche decennio dopo don Lucio, pur essendo molto cara e vicina ai forlivesi non infranse la barriera della fine del Settecento. Si spense così una piccola ma solida realtà di cui anche oggi, sebbene in forme diverse esistano esempi simili, ci sarebbe bisogno. 

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