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Martedì, 30 Aprile 2024
Forlì ieri e oggi

Forlì ieri e oggi

A cura di Piero Ghetti

Chi è il proprietario del chiostro di San Mercuriale?

Sono in tanti a Forlì a porsi la domanda, alla luce della recente proposta di don Antonino Nicotra, parroco del Centro storico e pertanto anche di San Mercuriale, di richiudere il chiostro con una cancellata, almeno nottetempo

Don Antonino Nicotra, parroco del Centro storico di Forlì e pertanto anche di San Mercuriale, l’ha ribadito recentemente: “Ritengo che una cancellata sia un elemento fondamentale per la preservazione futura del chiostro”. E’ una proposta che, più o meno esplicitamente, è stata avanzata, finora senza fortuna, da tutti i curati post bellici della chiesa più amata dai forlivesi, a cominciare da mons. Adamo Pasini. Fu lui a subire la decisione, presa nel 1939 dallo stesso Benito Mussolini, di mettere in relazione le piazze Saffi e XX Settembre, in vista dell’edificazione del nuovo Palazzo di Giustizia, con il conseguente esproprio (formalmente risultò una regolare alienazione immobiliare) del chiostro e degli ambienti connessi. L’allora capo del governo incaricò del “restauro” del monumento, l’ing. Gustavo Giovannoni.

“Venne demolita la canonica - scrive Ulisse Tramonti in Itinerari di Architettura Moderna - per aprire verso la piazza Saffi, mentre la costruzione ex novo di un portico che ripeteva i motivi dell’esistente, apriva sulla seconda piazza. Il portico e la soprastante nuova canonica, realizzati in cemento armato e laterizi e poggianti su colonne in marmo e muratura, subirono ritardi di esecuzione a causa del clima e, soprattutto, del difficile approvvigionamento dei materiali in pieno periodo bellico”. Quello che apparve nel 1941 agli occhi dei forlivesi (l’inaugurazione avvenne il 16 ottobre di quell’anno) non era più un chiostro (dal latino “claustrum”, che significa cortile interno di chiesa o convento delimitato da un porticato), ma un ibrido aperto su due lati. Il 30 agosto 1952, anche per interessamento del parroco del tempo mons Giuseppe Prati, l’indimenticabile Don Pippo, che sarebbe morto pochi mesi dopo, la Diocesi ritornò proprietaria di tutto ciò che del chiostro non fosse piano di calpestio, rimanendo al Comune “l’assoluta proprietà della parte posta al pian terreno contraddistinta con coloratura rosa” (in pratica quella non coperta dai portici), con “facoltà al Comune di adibire l’area relativa al pubblico passaggio”.

Questo attribuisce in capo all’Ente territoriale di Piazza Saffi ogni potere circa la imitazione o meno dell’accesso al monumento. E’ tutto documentato nel relativo rogito, curato dal notaio Pietro Ravaioli, che vide intervenire, come rappresentante del Comune, l’assessore anziano comm. Dario Ercolani, appositamente autorizzato con delibera consiliare (l’ultima di una lunga serie). Per la restituzione del chiostro fu pattuito il prezzo di lire 3.500.000, “somma che il molto reverendo Prati monsignor Giuseppe dichiara di avere già versato alla Tesoreria comunale di Forlì, gestita dalla locale Cassa dei Risparmi”. Furono previste anche forti agevolazioni fiscali, visto che parte dell’immobile ridato alla chiesa evidenziava ancora “importanti danni bellici”. La Diocesi riebbe il suo chiostro, ma non la possibilità di gestirne gli accessi, essendo necessario “il benestare del Comune”. Il parroco che finora è arrivato più vicino alla possibilità di richiuderlo, è stato mons. Bruno Bazzoli. “Nel 1959 – ricorda don Nino - il Soprintendente Arrigo Buonomo aveva espresso la sua approvazione per la chiusura dell'area con una cancellata. Da Roma era anche arrivato uno stanziamento ministeriale di 650.000 lire. Purtroppo il Consiglio Comunale si pronunciò di misura contro il progetto”.

Il modello di chiusura potrebbe essere dato dal chiostro di San Romano a Ferrara, a due passi dalla Cattedrale estense, precluso con una cancellata leggera alta come i capitelli, aperto di giorno grazie ad un portone di ferro su entrambi i lati. Adesso ci riprova lo stesso don Nino: “Io sono convinto che il chiostro non debba essere uno spazio chiuso, ma regolamentato, tanto più adesso che il Comune sta effettuando accurati lavori di pulizia e restauro. Se permane la situazione attuale, il rischio è che, pochi mesi dopo la conclusione dell'intervento, l'incuria e l'inciviltà riprendano facilmente il sopravvento. Se si considera poi la riscoperta delle lunette secentesche e l'intenzione di ricollocarle nel chiostro, ritengo a maggior ragione che lo si debba richiudere, almeno nottetempo”.

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