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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Hercolani e lo scacco al Re

L'ultimo grande capitano di ventura era di Forlì. Passò alla storia per un fatto di risonanza internazionale. Chi era Cesare Hercolani?

Forlì dimentica spesso i suoi concittadini validi e valorosi. Così la memoria sbiadisce in un appiattimento simile a una foschia dentro la quale è impossibile trovare un'identità per il Cittadone. Eppure ci fu un tempo in cui molti forlivesi si distinsero come capitani di ventura, cioè comandanti di eserciti di mercenari al soldo di questo o di quel potente. Sarebbe opportuno dare spazio a Giovanni dalle Bande Nere, prode figliolo di Caterina Sforza nato a Forlì il 6 aprile 1498, morto in giovane età proprio mentre stava esercitando il mestiere delle armi. Come si potrebbe intuire dall'anagrafica, ormai la storia era cambiata e certi lavori sembravano retaggi medievali. Infatti, col tramonto della cavalleria pesante, l'epoca (o epica) dei capitani di ventura subì il tracollo e il susseguente tramonto. Ebbene, quasi fuori dal tempo, ecco emergere un'altra figura emblematica di quella Forlì pugnace e volitiva che pare scomparsa. Nel Cinquecento, un liviense si fece notare rispettando tutti i crismi della forlivesità d'un tempo: l'odio antifrancese, una certa spregiudicatezza, uno spirito ghibellino. Sarà dunque, si può dire, l'ultimo grande capitano di ventura della storia. E come parecchi forlivesi degni di fama, non è più profeta in Patria. Quindi si ritiene opportuno rinfrescare la memoria. 

Il 24 febbraio 1525 un capitano di ventura di ventisei anni fece un vero e proprio “scacco al Re”. Il forlivese Cesare Hercolani (talora scritto senz'acca), già noto per trascorsi ghibellini e per combattimenti al soldo di Carlo V del Sacro romano Impero con la compagnia del generale spagnolo Ferdinando Alarcon, fu il personaggio chiave della battaglia di Pavia. Le due potenze europee, Francia e Impero, già da tempo si contendevano il predominio dell’Europa: l’Italia era oggetto di conquiste e campo di guerra. Così dal 1494 al 1559 la Penisola fu messa a ferro e a fuoco, stretta in un gioco crudele e complicato di alleanze. Nell’ottobre del 1524, desideroso di riprendersi Milano, Francesco I, re di Francia, calò in Lombardia con un esercito di trentamila uomini (per lo più svizzeri e tedeschi): un’epidemia aveva svuotato la città, e per il monarca non fu un’impresa possibile occupare Milano. Il sovrano d’oltralpe decise di proseguire verso Pavia, messa sotto assedio fin dal 27 ottobre 1524. 

L’arrivo dei rinforzi di Carlo V fece perseverare i combattimenti fino al giorno conclusivo: l’alba del 24 febbraio 1525. Grazie agli archibugi spagnoli e all’azione dei lanzichenecchi, l’esercito imperiale prevalse su quello francese. Tanto che il Re, disarcionato, continuò a combattere ma poi non riuscì a far altro che fuggire. Allora Cesare Hercolani, appostato con Diego di Avila e Giovanni d’Urbieta in una località vicina a un bosco di ontani chiamata Repentita, gli sbarrò la strada mentre il sovrano stava per attraversare un ponticello. Nell’agguato, i tre ferirono il Re che fu poi catturato. In particolare, Hercolani, dopo aver colpito il cavallo reale, riuscì a sottrarre uno sperone e una falda a Francesco I. Il sovrano fu condotto prigioniero in Spagna, e, in cambio della libertà, il 14 gennaio 1526 firmò il Trattato di Madrid. Per l’azione, l’Imperatore Carlo V nominò il forlivese barone di Camarda e Aragno (due castelli abruzzesi) e lo decorò con l’aquila imperiale. Fu anche riconosciuto come uno dei cinquanta Conti veri di Napoli.

Di nobile e antica famiglia, Cesare Hercolani nacque a Forlì nel 1499. Della sua schiatta faceva parte anche Cassandra Hercolani, madre di Cristoforo Numai, confessore della moglie di Francesco I di Francia. Per un'increspatura della storia, Francesco I sarà poi vittima di Cesare, come già scritto, Cesare che sarà dunque decisivo per l'esito della battaglia di Pavia. Fu ucciso nella sua città da sicari guelfi, proprio a casa sua, nell’attuale via Maroncelli: correva l’anno 1534. Si narra che furono assoldati ben quattordici assassini per ostacolare il suo impegno politico ghibellino che quasi certamente avrebbe avuto forti conseguenze nella gestione della cosa pubblica. Vincenzo Pirazzini e altri lo aspettarono al crepuscolo, tuttavia il condottiero si difese fino allo spasimo. Nonostante ciò, Cesare cadde mortalmente nell'androne della sua magione. In Palazzo Hercolani, appartenuto alla nobile famiglia fino a quando l'ultimo erede Fabrizio lo cedette al conte Sesto Matteucci nel 1844, una lapide fu murata a metà Ottocento per ricordare l’assassinio del più illustre nome del casato: “Difendendosi come un leone contro quattordici armati – si legge nell’iscrizione - qui cadde ferito a morte Cesare Hercolani, celeberrimo condottiero forlivese, vincitore di Francesco I a Pavia. Il Conte Filippo Guarini pose questa memoria in onore a lui e a vergogna delle ire di parte che resero sempre l’Italia divisa e infelice”. In bella posa, corazzato, l’uomo d’arme è ritratto in un grande quadro conservato nella Pinacoteca di Forlì. La tela, donata dal conte Fabrizio Hercolani nel 1846 alla comunità forlivese, riporta la scritta: “Cesare.Hercolani.Da.For.I.Bar.Ne Di Aragno et Camarde Viss.Ann.35 Fu Tolto Del Mondo Del M.D. XXXIIII”. 

Inutile cercare, ora, la sua tomba. Fino al 1944 era a San Girolamo (più nota come San Biagio): il tragico bombardamento che polverizzò l'antica chiesa forlivese distrusse per sempre il suo sepolcro e, forse, da allora la sua memoria è più scialba. 

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