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Venerdì, 26 Aprile 2024
La domenica del villaggio

La domenica del villaggio

A cura di Mario Russomanno

Gal Altra Romagna: storia, non troppo conosciuta, di una montagna che ha saputo fare squadra

Dal 1992 Gal Altra Romagna ha consentito di far avere alle aree montane romagnole oltre 33 milioni di euro, serviti a finanziare progetti utili alla cosa pubblica e alla imprenditoria privata

Lunedì scorso Gal Altra Romagna, che ha sede a Sarsina e abbraccia venticinque comuni, ha celebrato a Rocca delle Caminate il proprio trentennale con una riflessione a cavallo tra passato e futuro. Introdotta dal saluto del sindaco di Meldola, padrone di casa, Roberto Cavallucci, e guidata dal presidente Bruno Biserni, davanti a un pubblico composto in gran parte da sindaci, amministratori, consiglieri regionali, parlamentari.

Sul palco si sono succeduti il nuovo presidente della Camera di Commercio, Carlo Battistini, il deputato Iacopo Morrone, il senatore Stefano Collina, il consigliere regionale Massimo Bulbi, il presidente di Romagna Acque, Tonino Bernabè, i rappresentanti di altri Gal presenti in Emilia Romagna e altrove.

Perché ve ne parlo e cosa è il Gal?

Ve ne parlo perché quella del Gal è storia poco conosciuta (la gente di collina e montagna non è mai troppo propensa a raccontarsi), rievocarne le vicende serve a capire meglio ragioni e attese di una parte significativa della Romagna. Gal è acronimo di gruppo di azione locale, attivo fin dal 1992. Si profilava, su segnalazione della Regione, la allora quasi fantomatica possibilità che a Sarsina, Modigliana, San Piero,  Portico, Santa Sofia, Talamello, Verucchio, etc, insomma sulle alte colline romagnole, luoghi cui nessuno aveva mai regalato nulla, l’Europa finanziasse progetti di sviluppo. La cosa venne prese parecchio sul serio dalle nostre parti, il bisogno era tanto.

I luoghi montani andavano spopolandosi, i posti di lavoro diradandosi: la vita agognata dai giovani pulsava in pianura. Le città brulicavano di persone e negozi, le aree artigianali e industriali proliferavano, l’agricoltura che faceva reddito era oltre la striscia d‘asfalto della Via Emilia, la costa risultava meta agognata. In collina e montagna i giovani non volevano più starci. Si cercava lavoro fino al porto di Ravenna, si scendeva dalle vallate per trovar lavoro in fabbrica, negli uffici, nelle distese agrarie di pianura, nei comuni, negli ospedali, nelle banche. Collina e montagna erano ambienti considerati non in grado di garantire futuro, non valeva più la pena mettervi famiglia.

In quel contesto ci fu chi provò a cogliere l’opportunità offerta dai fondi europei. Nacque, dunque, Altra Romagna, nel 1992, a Santa Sofia. Si trasformò, due anni dopo, in Gal Altra Romagna, che oggi ha sede a Sarsina, dopo aver a lungo preso casa a San Piero. Il perché di quel nome, Altra Romagna, me lo ha spiegato il direttore attuale del Gal, Mauro Pazzaglia: si intendeva evocare il possibile rilancio di aree silenziose, quiete, orgogliose, trascurate dalle attenzioni di istituzioni, media e comune sentire.

Attenzioni che erano, per lo più, concentrate sul modello turistico costiero, di straordinaria e consolidata efficacia, ma che stava attraversando, fin dal 1989, la drammatica crisi della eutrofizzazione: il mare, coperto di un denso strato di alghe, s’era improvvisamente trasformato da sogno in incubo, minacciando il crollo di una economia che faceva invidia al mondo.

Sulla montagna romagnola si giocava una partita decisiva, servivano capacità, amore per quei luoghi, buon senso. Ecco perché, in un’epoca nella quale sarebbe stato sorprendente, in collina, vedere andare in sposa una ragazza di famiglia cattolica con un giovane comunista e viceversa, nella quale, in città, difficilmente il direttore di una organizzazione economica di sinistra sarebbe stato visto pranzo con il collega che guidava una associazione moderata, per dar vita al Gal si fece, accantonando divisioni ideologiche novecentesche, di necessità virtù. Dimenticando diffidenze e diversità.

Ci si rimboccò le maniche, si imparò un mestiere: quello di mettere a ragionare allo stesso tavolo gente che per secoli non aveva saputo l’uno dell’altro (s’erano mai incontrati quelli di Saludecio e quelli di Tredozio?)  e quello di fare i conti per bene, diligentemente, in modo che l’Europa non avesse da ridire. Ed è noto che l’Europa qualcosa da ridire ce l’ha sempre avuta: a Bruxelles di gente ben pagata per fare le pulci ce n’è sempre stata in abbondanza.

A mettersi in pista fin da subito furono uomini, inizialmente, di Confcooperative, come Pier Lorenzo Rossi, e di Legacoop, come Alessandro Guidi e Giovanni Felice. Questi ultimi con connotazioni politiche decise: Guidi, socialista, era stato presidente della Provincia di Forlì, Cesena e Rimini, Felice, sindaco a Civitella, si era formato all’interno della celebre scuola politica del Pci delle Frattocchie, a Roma, fucina della classe dirigente nazionale. Per contro, vigeva allora una vicinanza stretta tra Confcooperative e Democrazia Cristiana. Non dico che c’era da metter d’accordo cane e gatto ma, credetemi, quasi.  Eppure, tra quegli uomini innamorati della montagna, prevalse la voglia di rendersi utili alle comunità, a dispetto di qualsiasi altra considerazione

Da allora, da quel 1992, per farla breve, Gal AltraRomagna è sinonimo di collaborazione e metodi pragmatici. C’era da monitore esigenze locali, da produrre idee e costruire progetti. Progetti che, mi ha spiegato la responsabile amministrativa Francesca Ugoletti, hanno consentito, a oggi, di far avere alle aree montane della Romagna, oltre trentatre milioni di euro, serviti a finanziare progetti utili alla cosa pubblica e alla imprenditoria privata (il capitale sociale del Gal è al 58% detenuto da privati).

C’era da imparare a dialogare con l’Europa, imbastire interventi e rendicontare l’utilizzo dei finanziamenti. C’era, soprattutto, questo mi pare l’aspetto più affascinante della storia, da convincere popolazioni che, dietro la richiesta, tassativa, dell’Europa di compartecipare alla spesa e anticipare quattrini, temeva la fregatura.

Il rischio di sbattere nella diffidenza delle popolazioni, delle amministrazioni, delle imprese, lo scrivo con rispetto per la gente di montagna (mia madre era di Portico San Benedetto, la mia famiglia vi ha abitato), era concreto. Bisogna averla frequentata la gente di montagna per capire: se per secoli nessuno ti ha aiutato e le strade della modernità hanno sempre portato altrove, se sei vissuto solo ed esclusivamente del tuo, quando ti si profila un regalo, che in parte devi pure pagare, cerchi di guardarci attentamente dentro prima di scartarlo.

Eppure, dai e dai, (amministratori e operatori del Gal si muovevano lungo i crinali per centinaia di incontri con comuni, aziende, pro loco, etv) il sistema fu accettato e il volano di opportunità si mosse.

Gal Altra Romagna e stato a lungo capo fila di una lunga schiera di comunità, che andavano da Val Conca e Val Marecchia fino alle montagne bolognesi che guardavano a Modena. Ha svolto, in questi trent’anni, egregiamente il proprio compito, valorizzando anche innovative professionalità femminili, cosa non avvenuta ovunque. Ha saputo miscelare esperienze personali e culturali diverse, facendo sintesi: presidente, prima di Biserni, è stato il cesenate Orazio Moretti. Amministratori, tra i tanti, sono stati uomini portatori di biografie diversissime: ne cito due a titolo esemplificativo. Daniele Bertaccini, che fu presidente della azienda di trasporti pubblici romagnola in rappresentanza del partito repubblicano e il cattolicissimo Luciano Sedioli, che fu anche direttore de “Il Momento”, storico settimanale della diocesi forlivese. Di nuovo, se possibile, cane e gatto, ma solo sulla carta: le esigenze delle comunità hanno costantemente prevalso. Sono nate anche, da Gal, inossidabili amicizie tra chi prima non si frequentava.

Dopo trent’anni, è corretto che il presidente Biserni si chieda, come ha fatto lunedì scorso, se il gruppo di azione locale sia ancora utile. Ma la risposta appare scontata: collina e montagna hanno bisogno di amici, adesso più di allora. Nel frattempo, tanto per dire della lungimiranza di certe inspiegabili scelte, sono state cancellate le comunità montane e depotenziate le province, che servivano alle periferie ben più che alle città.

Mi è parso, del resto, che nessuno pensi il contrario. Lunedì erano presenti tutti i sindaci di collina e montagna, era un bel vedere. E ricordo, mentre scrivo, d’aver visto in platea, diversi leader della economia: il presidente di Confcooperative Romagna, Mauro Neri, e il segretario generale Mirco Coriaci, il presidente delle Bcc emiliano-romagnole, Mauro Fabbretti,  il presidente della Cna, Lorenzo Zanotti e Laura Pedulli, il presidente degli agricoltori romagnoli Danilo Miserocchi, e molti altri che trascuro per dimenticanza. Una bella fetta della economia romagnola. Nessuno di  loro, ritengo, era salito alla Rocca delle Caminate per fare una passeggiata, facevano quasi quaranta gradi, ma per testimoniare il proprio interesse.

Vivere in collina e in montagna è difficile, mancano servizi, ma tutti hanno capito che ci si vivrebbe, potendo, molto meglio che altrove. Cultura, ambiente, benessere, sono diventati valori: tante giovani coppie sarebbero disposte anche a guadagnare meno pur di crescere i figli in collina. Oggi lo spopolamento non deriva dal fatto che si preferisce la pianura, come capitava trenta anni fa, ma dalla impossibilità di disporre di servizi adeguati. Basta chiederlo a ciascuno dei sindaci che erano presenti lunedì scorso, come stanno le cose. Li conosco uno per uno, parlar con loro è aprirsi un mondo. Fatelo, andate a trovarli, nessuno è più ospitale di un sindaco di collina e montagna.

Gal Altra Romagna il suo l’ha fatto e credo continuerà. Ma serve molto altro, da parte di forze più grandi, il pericolo di spopolamento ulteriore è concreto. Nonostante che tutti, persone e istituzioni, in epoca pandemica e post pandemica, abbiano capito che la qualità della vita è valore imprescindibile. Il futuro, a ben vedere, è lì.

Buona domenica, alla prossima.

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