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Forlì ieri e oggi

Forlì ieri e oggi

A cura di Piero Ghetti

Che fine hanno fatto i campanili delle chiese di San Biagio e Fornò?

La seconda guerra mondiale ha inferto colpi durissimi ai luoghi di culto del forlivese. Se quasi tutte le chiese, sia del forese che del centro, sono state ricostruite, mancano all’appello due campanili di grande effetto monumentale

La Romagna è sempre stata terra di campanili: ogni paese, anche il più sperduto, tende a primeggiare e a distinguersi, grazie anche al variopinto campanile della chiesa parrocchiale, che funge da riferimento, non solo religioso, per l’intera comunità. Le torri campanarie sono apparse all’orizzonte della cristianità verso il VI secolo. Se la tradizione attribuisce a Paolino, vescovo di Nola, la paternità dell'uso delle campane come richiamo per le adunate, risale al 561 la prima segnalazione di Gregorio di Tours, che attesta l'uso della campana posta su un'apposita torretta per richiamare i fedeli.

Questa costruzione si diffuse a partire dall'VIII secolo, quando papa Stefano II fece costruire una torre dotata di tre campane nella Basilica di San Pietro in Vaticano. I campanili più antichi erano a forma cilindrica, secondo lo stile cosiddetto ravennate e ne svettavano due anche nel forlivese, a Bagnolo e Pievequinta. Se il primo è andato distrutto durante la guerra, il secondo si erge tuttora a fianco della chiesa settecentesca, posta nel territorio comunale di Forlì ma in Diocesi di Ravenna-Cervia. L’ultimo conflitto mondiale ha inferto colpi durissimi ai luoghi di culto del forlivese. Da Santa Maria Lauretana di Bussecchio, Coriano e Fornò, a Bagnolo, Poggio, Durazzanino, San Tomè, Malmissole e Branzolino, San Martino in Villafranca e Villafranca, per continuare con Coccolia, Durazzano e San Pancrazio, fino ad allungare lo sguardo al campanile della pieve millenaria di San Pietro in Trento, al santuario di Sulo di Filetto e alle chiese di San Cristoforo e Chiesuola, Antonio Mambelli, riferendosi al forese, nel suo “Diario degli avvenimenti in Romagna dal 1939 al 1945” descrive “un’immane distesa di macerie”.

Il centro città non godette di miglior sorte. Sempre Mambelli, alla data del 9 novembre 1944, giorno della Liberazione, racconta che “alle 1,45, senza preavviso alcuno, a distanza di dieci minuti fra l’una e l’altra esplosione, i tedeschi fanno saltare la torretta del palazzo degli Uffici Statali sulla Piazza Maggiore, la torre dell’Orologio e il campanile del Duomo. Salvo il campanile di San Mercuriale”. Un mese dopo, una Forlì prostrata dalla guerra ma saldamente in mano alleata, subisce anche la perdita della cappella Feo con gli affreschi realizzati da Marco Palmezzano su “cartoni” di Melozzo degli Ambrogi. Il bombardamento tedesco di San Biagio del 10 dicembre 1944 dissolse tutto in una nube di polvere. Se il campanile del Duomo e la torre civica sono stati riedificati negli anni ’70 più o meno simili agli originali (più basso il primo, più alta la seconda), San Biagio è risorta nel 1952 ma assai lontana dall’originale. In un primo momento si era pensato di erigere un edificio completamente nuovo, visto che del vecchio non rimaneva quasi nulla. Poi, nell’ambito della Commissione ministeriale per la ricostruzione, s’impose Cesare Valle. Il grande architetto razionalista, compromesso col regime fascista ma autorità indiscussa anche nel dopoguerra repubblicano, pretese un progetto di pregio. Purtroppo non è stato riproposto il campanile, sembra per carenza di fondi, ed è assai arduo che riappaia di questi tempi, forieri di ben altre priorità e risorse esigue.

Stessa sorte anche per la torre campanaria eretta nel XV secolo a fianco di quello straordinario scrigno di arte e storia, che è la chiesa di Santa Maria delle Grazie di Fornò. Nella notte del 24 ottobre 1944, quattro mine anticarro, poste dalla “Wehrmacht” in ritirata, fecero crollare in un colpo solo il campanile, la parte del chiostro attigua alla chiesa e le sacrestie vecchia e nuova, con gravi danni allo stesso tempio, voluto nel 1450 dal misterioso eremita Bianco da Durazzo. Don Guerrino Valmori, per 50 anni parroco della Pieve carducciana di Polenta, ma all’epoca giovane rettore di Fornò (è scomparso 89enne nel 2004), ha sempre ricordato con angoscia quella follia distruttiva: “Vidi la grande torre staccarsi da terra come un missile, per poi ricadere miseramente al suolo”. I tedeschi avevano deciso di minare il campanile, pensando che sarebbe divenuto punto di osservazione privilegiato per gli Alleati che stavano sopraggiungendo. Nella seconda metà degli anni Novanta, l’allora parroco don Amedeo Pasini riuscì a ricostruire parte della “elle” residenziale. Con quel recupero è stata scritta la parola fine alla pratica dei danni di guerra e al sogno di alcuni irriducibili, di veder risorgere il poderoso campanile.

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