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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

La Questura ordina: niente Caffé

Locali pericolosi ed episodi di violenza urbana a fine inverno 1894 nella Forlì ritratta nel Diario del conte Filippo Guarini

“Oggi si è riaperto il Caffé della Barchetta dopo una settimana che la Questura lo aveva chiuso”. Sembra, purtroppo, una notizia di attualità ma è una nota scritta da Filippo Guarini nel suo “Diario Forlivese”, era il 4 marzo 1894. Per chi se lo chiedesse, il “Caffé della Barchetta” era nella parte di palazzo Albicini che si affaccia su piazza del Duomo. Che cosa accadde in quei momenti di centotrenta anni fa? “Così in due giorni registro tre fatti di sangue: che tempi, mio Dio!” ebbe a dire l’attento conte Guarini a margine di quanto scritto.

Sfogliando le belle paginone scritte a mano ci si sofferma al 18 febbraio 1894, giorno in cui “una contadina ferisce gravemente con un colpo di pistola certo Angelo Valpiani detto Filèin, colono del sig. Cammillo Mazzoni in Vecchiazzano”. Il fatto ebbe teatro in piazza Saffi, ne segue la spiegazione del movente. La donna, infatti “è la madre di un tale Sibaròl, contadino di Villagrappa ucciso molti mesi fa”. L’indagato principale per l’omicidio era questo Valpiani ma la Corte d’Assise lo aveva poi dichiarato innocente. Pertanto, la “madre dell’ucciso ha tentato oggi di farsi giustizia da sè”.

Era il 19 febbraio 1894, invece, quando “essendo giorno di mercato, alcuni contadini e cittadini, per questioni di giuoco, cominciano a tirarsi in piazza delle schiopettate”. Uno scenario da incubo: “un rimane ucciso da un colpo di fucile e da più coltellate”. Il tutto in un clima di ludopatia, ebbrezza e altre alterazioni. “Si sparano alla rinfusa otto o dieci colpi (chi dice anche più); e le palle s’infiggono nelle botteghe di un cappellajo e dell’orefice Mischi, come in varii altri luoghi; tanto che per miracolo non sono ferite altre persone”. Accorrono le forze dell’ordine alla cui sola apparizione “avviene un fuggi fuggi generale”. La concitazione è talmente esasperata che “uno di quelli che eran nella mischia, inseguito da un Delegato, gli tira un colpo di revolver, ma non lo colpisce”.

Nelle ore successive di quel lunedì, a Forlì non si parla d’altro, si rincorrono le voci specialmente di sera: “qualcuno dei rissanti sia all’ospedale ferito”, si dice. Si tenta una ricostruzione delle dinamiche, tra verbali dei Carabinieri e dei sentito dire: “L’ucciso era stato il primo a tirare contro gli altri, poi correndo in Piazza ha inciampato in una fune che avean teso alcuni saltimbanchi, e caduto e raggiunto da un avversario, ha trovato la morte”. La folle giornata di mercato aveva visto così nascere questa “zuffa” a ridosso del “Palazzo Castellini, ora Pantoli”, cioè il primo edificio tra piazza Saffi e corso Mazzini abbattuto qualche decennio dopo per lasciar spazio al Palazzo delle Poste e dei Telegrafi. Nel muro di questo palazzo si vedevano “i segni delle palle che hanno infranti i vetri di una bottega”. Guarini, a questo punto, pare scrollare le spalle: “Sono tutta gentaccia”. Cita, tra costoro, “un tale Fatturòn”, mentre “l’ucciso è Enrico Casadei detto Fumagòst di Villafranca, soggetto assaj tristo e pericoloso”.

Come se non bastasse, in quella stessa sera, anzi, notte (“Alle ore 23 ¾”), la violenza si sposta “nella Piazza del Duomo”, dove “egualmente per lite di giuoco”, un tale Vernocchi “ferisce in una spalla con un colpo di revolver Ugo Danesi, fabbro, detto E’ fiòl d’Patacòn”. Si si sa che “erano stati prima all’osteria di Culròtt e al Caffé della Barchetta con altri amici che avean cercato di rappacificarli”. Arrivano i provvedimenti per la sicurezza dei cittadini: il 25 febbraio 1894 “la Questura ha fatto chiudere il Caffé della Barchetta e le osterie di Magliet e di Culròtt” in seguito al fatto avvenuto in piazza del Duomo. Inoltre, c’è tanta omertà in quei locali: “i rispettivi padroni asseriscono di nulla saperne, e di non conoscere le persone; quello del Caffé dice perfino di non aver udito il colpo!”. E pensare che la Barchetta è un Caffé che ha “aperto da oltre 40 anni”, è “frequentato da gente tranquilla”, tanto che la sua chiusura “è un fatto nuovo e curioso”. Vent'anni dopo quel 1894, tra gli avventori abituali del Caffé della Barchetta, poi noto come Prati, c'era un giovane Benito Mussolini che, tra altre vicende, vi si esibì col suo violino. 
 

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