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Lunedì, 29 Aprile 2024
La domenica del villaggio

La domenica del villaggio

A cura di Mario Russomanno

L'Ercole Baldini privato: i tanti aneddoti raccontati dalla famiglia

Il leggendario campione del ciclismo scomparso un anno fa a Forlì

A Forlì, fino al 7 Gennaio, è allestita una splendida mostra, visitabile gratuitamente presso i Musei di San Domenico, dedicata ad Ercole Baldini, il leggendario campione del ciclismo scomparso un anno fa. E’ stata realizzata dal Comune di Forlì in collaborazione con la Casa Editrice Minerva. E’ un sontuoso omaggio allo sportivo più celebre cui Forlì abbia dato i natali (Campione del mondo, Campione olimpico, Recordman dell’ora, e molto altro), e all’intero ciclismo. 

Ho conosciuto Ercole, ho avuto l’onore di intervistarlo per la carta stampata e per VideoRegione, più volte. Era uomo educato, sorridente, signorile, i cui occhi luminosi mandavano bagliori di intelligenza purissima. Ho conosciuto anche Wanda, sua moglie: donna di carisma, di cultura cosmopolita, di una classe che andava ben oltre la grande disponibilità economica che il padre, importante industriale reggiano, le aveva assicurato. Nella “Domenica del Villaggio” dell’ 11 dicembre del 2022 ho descritto il mio primo, emozionante, incontro con loro

Ma, osservando in questi giorni la mostra, mi sono chiesto quanto sappiamo del Baldini più intimo. Nel dubbio, lunedì scorso ho chiesto di incontrare Bruno Baldini, fratello di Ercole, assieme a Mino e Riziero, figli di Ercole. Hanno accettato e, con la consueta cortesia, mi hanno ospitato nella bella casa che fu di di Ercole e di Wanda, a Villanova. Le interviste plurime sono notoriamente scivolose e complicate da sintetizzare, ma la difficoltà è in questo caso stemperata dalla simpatia contagiosa che i Baldini, di un ramo o dell’altro, trasmettono. Ho conosciuto donne e uomini della vasta famiglia, sembrano fatti con lo stampo. Gentili, allegri, generosi nell’offrirsi. Ci raccogliamo attorno a un tavolo tondo, tra caffè, dolcetti e il magnifico vino che i Baldini producono ad uso amicale.

Bruno, il fratello, ha sette anni meno di Ercole, ma ebbi la sensazione che il campione si fidasse di lui come fossero quantomeno coetanei. Anche Wanda, lo ricordo, teneva il cognato in grande considerazione. Bruno, geometra e imprenditore, alto e asciutto, garbato come pochi, porta i propri 84 anni con spirito ruggente. Cattolico praticante, prudente nei giudizi, modesto negli atteggiamenti, è uomo arguto e dalla battuta pronta. Ha molto amato Ercole, ricambiato. Vive a Villanova, non lontano dalla casa dove ci troviamo. Lui il fratello campione lo chiamava Ercolino.

Mino e Riziero, imprenditori con interessi in Europa, Stati Uniti e Sud America, sono cittadini del mondo, sulla scia dei genitori. Vivono però, con le loro famiglie, parte dell’anno a Villanova, dove sono nati. Sono custodi della tradizione. Da quando il babbo non c’è più, lo chiamano Ercole. Spiritosi, disponibili. Sono figli di una leggenda dello sport e di una fuoriclasse. Su  tali basi hanno costruito, con merito, un bel po' di cose. Lo sanno, ma fanno di tutto per non farlo pesare a chiunque faccia due chiacchiere con loro. Amano la leggerezza, non l’ostentazione.

Comincio da Bruno, che ha visto Ercole bambino.

Bruno, che famiglia era la vostra?

“Mamma, babbo, sette fratelli maschi. Gente di campagna. Non eravamo contadini ma coltivatori diretti, la terra era nostra. A fine anno non dovevamo riconoscere al padrone la metà del raccolto e dei profitti. Mamma Angela, va detto, era figlia di gente che aveva avuto qualche disponibilità, i suoi fratelli erano diventati periti agrari a fine Ottocento, una rarità ai tempi. Uno di loro dirigeva le Opere Pie del Comune di Faenza. Nonno Ercole morì il giorno in cui nacque Ercole. La nostra casa  si trovava sulla via Ghibellina, vicino alle rotaie della ferrovia.”  

Su cosa lavoravate?

“I campi erano coltivati a grano, erba medica, bietole. Nella stalla avevamo  dodici mucche e una trentina di maiali, oltre a conigli e galline. C’era di che vivere decorosamente. Come si diceva allora, in casa si è sempre “tagliato sottile”, ma non abbiamo sofferto fame o miseria.  Certo, le scarpe si scambiavano tra fratelli. Con lo stesso paio, la domenica, uno andava a Messa alle undici del mattino e un altro alle cinque del pomeriggio.” 

Mino e Riziero, intervengono per precisare che anche loro, figli di un campione e di una donna facoltosa, si passavano le scarpe. In casa mangiavano i biscotti fatti dalla nonna, non quelli più accattivanti che si vendevano nei negozi. Il giusto valore da dare alle cose in casa di Ercole e Wanda costituivano regola. Anche se potevano permettersi tanto. Torno da Bruno.

Quando vi siete accorti, in famiglia, che Ercole era un campione?

“Nel 1951, da allievo, vinse cinque- sei corse, si poteva sperare, ma allora tanti ragazzi correvano con impegno, il ciclismo era il sogno di tutti. Nel 1954, spronato dal massaggiatore Fornari di Cesena, provò a cimentarsi sulla pista di Milano, il Vigorelli. Stabilì il record mondiale dell’ora: fu una grande sorpresa per tutti, anche per Ercole stesso. A quel punto capimmo che nelle speranze riposte su di lui c’era sostanza. Ma di lì a poco partì per il servizio militare, per un anno lasciò l’attività. Nessuno poteva dire se alla ripresa sarebbero arrivati altri risultati importanti.”

Poi? 

“Fu il 1956 l’annata spartiacque. A Ferrara, non troppo lontano da casa, si teneva la selezione nazionale per individuare i quaranta azzurrabili tra i quali poi sarebbero stati scelti i sei componenti della squadra nazionale che sarebbe andata alle Olimpiadi di Melbourne. Fu nostro fratello Romano a portarlo a Ferrara sulla Gilera 150. Ercole viaggiò nel sellino posteriore della moto, con in spalla la bici con cui avrebbe corso.”

Come andò?

“Il commissario tecnico della nazionale dilettanti era Giovanni Proietti. All’inizio della corsa Ercole forò, ma riuscì in breve tempo a riprendere il gruppo. Fin troppo velocemente, tanto da insospettire Proietti che si rivolse a Romano accusandolo di avere “accompagnato” Ercole con la moto. Non voleva più Ercole in corsa. In quel momento poteva finire, ancor prima di cominciare, la carriera di Ercole.”

Invece?

“Ercole forò una seconda volta, di nuovo riprese il gruppo rapidamente. Stavolta sotto gli occhi di Proietti, che rivolse a Romano un’espressione di stupore. Un paio di mesi dopo Proietti venne a casa nostra a Forlì: affermò che, se gli avesse dato retta, Ercole sarebbe diventato più famoso di Fausto Coppi. Non lo prendemmo sul serio: sapevamo che Proietti aveva frequentazioni a Forlì, sospettammo fosse venuto da noi  per gentilezza o per passare una serata. Ma poi chiese a Ercole di partecipare ai campionati italiani su pista, e tutto cominciò.”

Babbo e mamma si trovarono in casa il più forte ciclista al mondo. Cambiarono?

“Erano gente con i piedi per terra. Nostra padre ci aveva cresciuti con un motto in dialetto. “Arcurdiv che ven bon e sburon i dura poc”. I nostri genitori trepidavano per Ercole, ma esortavano alla calma. La vita reale era mandare avanti il podere. Ercole lo ha sempre tenuto presente. Ti racconto un episodio?”

Certo?

“Quando tornò da Melbourne, campione olimpico, dette, come sempre, le maglie a nostra mamma da lavare. Lei abitualmente appendeva i panni steso ad asciugare su un filo in cortile che si vedeva dalla strada. Ercole spostò le sue maglie della nazionale nel retro della casa. Non gli piaceva far pesare chi era, nè ostentarlo. Vuoi un altro aneddoto?”

Ovviamente.

“Quando lui era già celebrato presi a correre anch’io. Vinsi qualche corsa, Ercole mi sentì vantarmene. Mi voleva molto bene, mi disse: “Bruno, così non va. Mi hai mai sentito dire che sono un campione?” Avevo infranto la regola dettata da nostro padre; non mi è  più capitato, in alcun ambito.”

Continuasti a correre?

“No, ma sono sempre uscito in escursione con Ercole. Mille volte con lui e Arnaldo Pambianco, che per noi era un fratello. Ero onorato ma non mi associavo a loro. Avevo fatto una visita con il dottor Lincei, medico di grandi corridori. Mi aveva detto che avrei potuto diventare, applicandomi al massimo, un gregario, mai un campione. Ercole aveva una capacità polmonare eccezionale e trentuno battiti cardiaci a riposo. A novant’anni resistette per tre giorni alla febbre a quarantuno. Era fatto di acciaio.”

E qui, al ricordo del fratello che si avvicinava alla fine, Bruno si commuove. Mino, opportunamente, interviene con un aneddoto divertente.

“Ercole, mio babbo, era gran mangiatore. Nostra mamma lo sgridava. Una volta, quando aveva già settant’anni,  a casa di Bruno mangiò un intera fiamminga di funghi fritti. Si giustificò: “quando vado a casa non mangio niente e faccio bella figura con la Wanda!”. Nel 2003 assoldammo un dietologo: gli prescrisse un regime alimentare, nostra mamma vigilava. Ma una notte entrai in casa silenziosamente per non disturbare. Erano circa le tre. La mamma dormiva, sorpresi Ercole che stava affettando prosciutto e formaggio di nascosto.”

Mi rivolgo nuovamente a Bruno. A un certo punto arrivò Wanda, ragazza con abitudini molto diverse dalle vostre. Come fu l’impatto?

“Ottimo. Sposati, vennero ad abitare nella casa dei nostri genitori perché la loro era in costruzione. Wanda era alla mano, anche se era la signora che tutti sappiamo. Si comportava come una di famiglia, partecipava ai lavori di casa. Era sempre gentile. Nei pacchi di Natale che predisponeva per suoceri e cognati non mancavano bottiglie di “Dom Perignon”, champagne difficilmente reperibile. Regalò a nostra madre una stola di volpe favolosa. Mia mamma, però, non la indossava per andare in chiesa, non voleva farsi vedere con quel capo lussuoso.”

Wanda era molto intelligente.
“Certo, e sapeva come la pensava Ercole. Anselmo Beccari, industriale, padre di Wanda e presidente della società per cui Ercole correva, aveva deciso di chiudere il convitto di Reggio Emilia dove  ospitava i corridori. Per non danneggiare Ercole, che considerava un gran bravo ragazzo, lo ospitò nella sua grande casa. Fu così che Wanda lo conobbe e prese ad apprezzarne la mentalità. Quando arrivò a casa nostra conosceva il nostro modo di vivere.”

Come affrontò Ercole successo e popolarità?

“Non cambiò atteggiamento, spalleggiato da Wanda. Loro due, che pur erano continuamente in giro per il mondo, non trascorsero mai una Pasqua o un Natale fuori da Villanova. La fama non cambiò Ercole. Anche se era difficile apparire come un mito in pubblico e come persona il giorno successivo. Non era facile neppure rimanere con i piedi per terra di fronte a certi guadagni. Una sera l’accompagnai, come spesso succedeva, per una kermesse su pista con altri campioni. Guadagnò una somma novanta volte superiore allo stipendio mensile di nostro fratello Renato, che era professore alle scuole medie di Meldola.” 

Dico che il professor Renato fu mio insegnante alle medie. Uomo educato, serio, cui talvolta in classe chiedevamo se fosse davvero fratello di Baldini. Sorrideva e rispondeva si.

Chiedo a Bruno di continuare.

“Wanda ed Ercole fecero il viaggio di nozze in Portogallo. Al tempo Umberto di Savoia, Re d’Italia in esilio, risiedeva in Portogallo. Invitò Ercole ad andarlo a trovare, ricevette lui e Wanda con tutti gli onori. Era così la vita di mio fratello.  Ma non cercò mai vantaggi, fu generoso con i colleghi. Una cosa gli fece particolarmente piacere..”

Raccontala, per favore.

“Ero con lui, a Milano, poco dopo la fine della carriera, a cena con Adriano De Zan, il famoso giornalista. Disse a Ercole: “spesso ti abbiamo trattato male noi della stampa perché ci eravamo illusi che tu potessi fare una carriera come quella di Coppi o di Bartali. Ma dopo i primi anni non hai più vinto, non te lo abbiamo perdonato: servivano grandi personaggi. Però nessun corridore mi ha parlato male di te, circostanza rara nel mondo del ciclismo”. Tornando a Forlì ne riparlammo, era molto contento di quella rivelazione. Ma non ne parlò più, il suo carattere era quello.”

Mi sovviene che alla mostra al San Domenico ho scorto l’ingrandimento della prima pagina de “La gazzetta dello sport” del giorno in cui Ercole vinse il Giro. Il titolo dell’articolo di fondo era: “Baldini più forte di Coppi e di Bartali”.

Fino a questo momento Mino e Riziero (tra i due scorrono cinque anni d’età) hanno ascoltato tra il divertito e il commosso. Hanno grande rispetto dello zio Bruno, prodigo di consigli nei loro confronti fin da quando erano bambini.

Mino: “Ci chiedi che padre è stato. Affettuoso, buono, ma rigoroso. Ci ha abituati alla semplicità. Nonostante che tutti ci parlassero di lui come di un mito, ci teneva con i piedi per terra. Ricordo che, avrò avuto dieci-undici anni, dovevamo portare qualche mobile nell’appartamento di Canazei. Ercole caricò un furgoncino e mi portò con lui. La sera prima aveva preparato panini con le cotolette. Io avrei voluto fermarmi a un grill. Mi spiegò che i soldi non andavano buttati, ci fermammo a mangiare su un prato in montagna. Mi convinse che l’aria aperta era una ricchezza.”

Riziero aggiunge: “Abbiamo mille esempi in questo senso. A me, da adolescente, non volle comprare il MotoGori 125, che alcuni compagni di scuola avevano. Ma andava bene così, onestamente sapevamo di godere, comunque, di privilegi. Facevamo una bellissima vita. Lui le regole le faceva prima di tutto per se stesso. Qualche collega, famoso quanto o meno di lui, chiedeva e otteneva sconti clamorosi al momento di comprare un’auto, era pubblicità per le concessionarie. Lui non lo ha mai fatto. Non comprò una Mercedes, costava troppo, anche se poteva permettersela”.

A proposito di bella vita, viaggiavate?

Mino: “Ercole e la mamma erano in viaggio spessissimo, ma durante la vacanze da scuola ci portavano con loro. Ricordo, tra le tante, l’estate in Sardegna con Nino De Filippis e la sua famiglia. C’era un precedente delicato: ai Campionati del Mondo  di Zurigo Nino avrebbe potuto vincere, ma Ercole non gli aveva tirato la volata. Non so perché. Tra i due era rimasta freddezza. Ma quella vacanza, vent’anni dopo, servì a dimenticare ogni cosa, tornarono a essere amici fraterni. I ricchi proprietari delle ville li invitavano a cena, andavamo tutti. Il proprietario di una di quelle dimore fissò una regola: gli uomini dovevano avere la cravatta. Loro due si presentarono con la cravatta ma a torso nudo. Erano Baldini e De Filippis, nessuno obbiettò e finì che tutti si spogliarono in mezzo alle risate”.

Mino aggiunge: “Ci ha abituati a non prenderci sul serio. Per un certo periodo lavorai a Parigi, mi lamentavo del viaggio. Una sera mi disse che io a Parigi c’andavo in aereo e che lui più volte c’era arrivato in bici.”

Ercole era un mito,  vostra mamma come affrontava la cosa?

Mino: “Diciamo la verità, soprattutto all’inizio ha un po' sofferto. A Forlì, un pomeriggio, in Piazza Saffi, Ercole spingeva la carrozzina su cui stavo io. Qualcuno criticò ad alta voce, asserendo che un grande campione non doveva svolgere compiti da donna. Immagina nostra mamma, con la personalità che aveva! Se la prese, anche con la città. In seguito, però, si integrò perfettamente con Forlì,  tanto che volle che le sue ceneri rimanessero a Villanova.” 

Riziero: “Aggiungiamo che la mamma ha sempre avuto un ruolo di indirizzo. Ercole si fidava ciecamente del suo giudizio. La mamma parlava correntemente inglese, tedesco, spagnolo, discretamente francese. Qualche volta litigavano, ma su scelte fondamentali Ercole s’appoggiava a lei. Certo, nei primi anni soprattutto, essere la moglie di Baldini per lei non fu facile.”

Riporto ai “ragazzi” che Wanda mi raccontò, con tono divertito, che, poco dopo il matrimonio, un giorno andò in Francia a trovare Ercole alla fine di una tappa del Tour. Lui la stava aspettando nel terrazzino dell’albergo. Mentre Wanda saliva, alcune ragazze stavano scalando una quercia per farsi notare dai corridori. Wanda non si scompose, sapeva che le cose giravano a quel modo.

Mino: “Ti avrebbe potuto raccontare molte altre storie simili. Erano diversissimi, ma si volevano un gran bene. Ercole, che nel dopo carriera fece grandi esperienze nello sport, fu direttore sortivo della Ignis, e anche nell’imprenditoria, fu presidente delle industrie Iris Ceramiche, considerò sempre nostra mamma la propria guida. Lei era davvero una donna eccezionale”.

Mino mi mostra una pietra particolarissima e spiega: “Era un’appassionata di civiltà pre Colombiane. Studiava quei Paesi e li percorreva continuamente, spesso assieme a Ercole. Scoprì che a Icha, in Perù, si era aperta una caverna che conteneva moltissime pietre fatte con materiali che diversi studiosi non ritengono terrestri. Lei ne acquistò, questa è una di quelle”

Riziero: “Avevano entrambi fiuto imprenditoriale. Furono loro a importare in Italia il  pesce surgelato. Ercole aveva studiato a fondo il processo e intuito che le abitudini alimentari sarebbero cambiate. Fondarono un’azienda, che poi cedettero alla Findus. Ercole aveva curiosità per tutto, conosceva a memoria le cartine geografiche di moltissime Nazioni”. 
 
Come affrontò il declino fisico?

Mino: “Se ne sbatteva di essere grasso, mentre altri sportivi avevano il culto del fisico a lui interessava solo non dovere più fare tanta fatica. Per molti anni aveva percorso centinaia di chilometri in bici ogni giorno, con qualsiasi clima. Smettere era stato un sollievo, ci parlava spesso della fatica che aveva affrontato. Si, dopo il ritiro usciva in bici con lo zio Bruno, con Arnaldo Pambianco, con altri amici che lo venivano a trovare. Anche con Jacque Anquetil, che  veniva a dormire qui a Villanova. Ma a quel punto era un divertimento. La fatica vera Ercole non voleva più farla.”

Riziero: “Era contento di quel che aveva costruito. E’ cambiato quando la mamma si è ammalò, nel 2008, per poi morire l’anno successivo. Senza la Wanda la vita non era più la stessa. E’ stato, però, lucidissimo fino agli ultimi giorni. Forse avrebbe voluto andarsene prima,ma, grazie all’istinto di sopravvivenza, ha lottato.” 

Mino: “Lo colpì molto la morte prematura di Monica Bandini, la ciclista di Villagrappa che era stata campionessa del mondo. L’aveva conosciuta bene, la stimava. Monica morì improvvisamente nel 2021. Ercole ci disse che sarebbe stato più giusto che ad andarsene fosse toccato a lui”.

Abbiamo finito, cosa dire d’altro? Ringrazio Bruno Baldini, Mino Baldini, Riziero Baldini, e i lettori. Buona domenica, alla prossima.

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