rotate-mobile
Venerdì, 26 Aprile 2024
La domenica del villaggio

La domenica del villaggio

A cura di Mario Russomanno

La domenica alla "Bussola": gli anni Sessanta, tra amori nascenti e fiducia nel futuro

"Facciamo festa, dedichiamoci ad amori inossidabili e a belle ragazze". Nuova puntata per il blog a cura di Mario Russomanno

Per questa domenica avevo programmato di riferirvi le interessanti riflessioni di un economista che ho intervistato giovedì scorso ma, visto il cielo plumbeo che incombe sopra le nostre teste, ho cambiato idea. Facciamo festa, dedichiamoci ad amori inossidabili e a belle ragazze. 

Per farlo ricorro a un mio libricino distribuito da Video Regione qualche anno fa, oggi esaurito, dedicato ai trenta migliori anni della Romagna e al dancing “Bussola” di Fratta. Pesco di lì, scelgo un raccontino tra i trenta scritti sulla base di testimonianze che tante persone, con gentilezza, vollero offrirmi. Di economia e politica parleremo la prossima domenica.

Negli anni Sessanta una ragazza bella e garbata vive ad Alfero, magnifica località con vista sulla montagna cesenate. La ragazza, Rosella, è portata per gli studi; la famiglia decide di mandarla in collegio a Forlì, presso le suore Dorotee. Non immaginate quanti collegi fossero attivi in quegli anni in Romagna, scelti da famiglie impegnate nella costruzione di una economia impetuosa e decise a garantire ai figli opportunità sconosciute alle generazioni precedenti. Per i ragazzi di montagna, poi, finire in collegio per studiare era quasi regola. Oggi ironizziamo, con ragione, sullo stato della E45, ma, prima che venisse realizzata, Forlì risultava lontana da Alfero più o meno quanto la California.

Nel 1968, dunque, Rosella, sotto lo sguardo vigile della suora accompagnatrice, assieme alle compagne, ogni mattina lascia il collegio di via Dei Mille per recarsi a scuola. È alta, ha una selva ordinata di capelli corvini, occhi intelligenti, carnagione olivastra e lineamenti perfetti. Una ragazza così, che attraversa a piedi il centro storico, nella Forlì di allora, è pecora destinata alla aggressione del lupo. Lungo il percorso c’è il “Bar Astra”, a due passi da Piazza Saffi, rinomato luogo d’incontro di bucaioli (non è una parolaccia, così venivano chiamati gli studenti che facevano “buco” per trascorrere la mattinata tra flipper e biliardi). Il lupo ha le sembianze, apparentemente tranquillizzanti, di un giovane che viene ogni mattina in corriera da Premilcuore, borgo collinare ove si parla con inflessione toscana, ed è figlio del custode di una tenuta patrizia. Si chiama Giuseppe Pierotti, non sa ancora cosa farà nella vita ma aspira a farlo in compagnia di una bella ragazza. Con la stecca da biliardo in mano, guardando oltre l’ampia vetrata del bar, Giuseppe osserva il passaggio delle collegiali in divisa. Una di loro gli toglie il respiro, anche se la ragazza procede spedita. Giuseppe s’interroga: chi è, da dove viene, avrà un fidanzato, c’è possibilità di incontrarla? Il figlio del custode è intraprendente e rapido di pensiero ma la prospettiva che ha di fronte è ristretta: il Bar Astra e il collegio delle Dorotee sono pianeti lontanissimi l’uno dall’altro, destinati a non incontrarsi.

Faccio una digressione per meglio definire il contesto. Era il 1968, l’anno del Maggio francese, che avrebbe ribaltato costumi sociali e ridefinito i rapporti tra i sessi. In Italia, anche nelle grandi città, nulla, però, era ancora cambiato: nei filmati d’epoca vedrete, per esempio, che allo stadio andavano solo gli uomini e tutti in giacca e cravatta. In Romagna le ragazze raramente uscivano di sera. Non frequentavano i bar, andavano talvolta al cinema in gruppo, di pomeriggio. Sempre in gruppo, a Forlì, la domenica pomeriggio qualche studentessa si recava al palazzetto del basket di Villa Romiti, costruito quell’anno in fretta e furia perché la squadra della città, la “Becchi”, era stata sorprendentemente promossa in A1, originando una vocazione cestistica tutt’ora presente. Nei numerosi circoli politici e nei ritrovi attigui, frequentatissimi, le donne, salvo rare eccezioni, andavano in compagnia del marito o del fidanzato. L’amore, la ricerca dell’altro, sono sempre esistiti, fortunatamente, e anche allora ragazze e ragazzi, prima o poi, s’incontravano. Ma tampinare una collegiale, per di più riservata per natura, non era, al tempo, come bere un bicchier d’acqua.

Giuseppe è scoraggiato ma il santo protettore degli innamorati decide d’intervenire a suo favore. Gli fa conoscere un collega bucaiolo, più incline ai segreti del biliardo che a quelli della didattica, che d’estate frequenta Alfero. Giuseppe si abbevera al suo sapere: la ragazza del mistero si chiama Rosella, non ha moroso e torna a casa solo raramente. Dunque, Giuseppe, che ad Alfero sarebbe andato anche a piedi, non può pensare di effettuare il proprio attacco in montagna, magari in un fine settimana. Gli tocca, invece, la guerriglia urbana e, visto che la suora che accompagna a scuola le collegiali gli ha fatto capire che per lui non è aria, decide di presentarsi direttamente alle Dorotee. Anche se tra i bucaioli, strateghi di mille battaglie, c’è chi lo sconsiglia di scegliere, per il primo assalto, quel terreno totalmente sconosciuto. Nessuno, tra i bucaioli, aveva mai varcato il portone d’un collegio religioso.

Con l’incoscienza di chi intravede una decisiva svolta esistenziale, Giuseppe non sente ragioni; raggiunge Via dei Mille e chiede della ragazza, presentandosi come conoscente. Lui e Rosella s’incontrano in parlatorio, lei è di montagna, sa valutare le persone, quelle di lassù non le freghi. Giuseppe è persona per bene, a Rosella basta un colloquio per accorgersene, il primo di una serie infinita. Lui si presenta ogni pomeriggio in parlatorio, le suore informano la famiglia. Rosella tranquillizza mamma e babbo, è tutto a posto. Lui le vuol bene da subito. Lei ci pensa su, in montagna t’abitui a ponderare le scelte. Nella sua cultura non c’è spazio per flirt passeggeri. Una domenica pomeriggio al mese Rosella ha il pomeriggio di libera uscita, abitualmente lo trascorre a casa di una zia forlivese. Di veder Giuseppe da sola non se ne parla, ma al futuro assicuratore la fortuna arride: nell’austero collegio cova la rivoluzione musicale, favorita dall’utilizzo dei nuovi registratori a nastro e dalle radioline a transistor. Rosella adora i nuovi generi, ancor oggi snocciola con facilità i nomi di cantanti e band di quel periodo e racconta che ascoltando musica le collegiali sognavano il proprio futuro. 

Giuseppe la butta là: andiamo una domenica pomeriggio alla Bussola, tempio della musica di tendenza.  Rosella è entusiasta, le suore acconsentono ma pretendendo la presenza di Anna, altra collegiale con il vizio delle sette note. Giuseppe rimedia una macchina, accompagna le ragazze a pranzo nei pressi di Rocca delle Camminate, alle “Martinelle”, e poi a Fratta.  Alla Bussola le attrazioni sono costanti, quel pomeriggio suonano “Nico e i Gabbiani”, band del momento. La loro hit è “Parole”, il ritornello della canzone è “non sai che tu sei nel mio destino”. Profetico: quel pomeriggio si compie il destino di Rosella e Giuseppe, avvinghiati nel primo abbraccio e ancor oggi insieme, da tempo nonni. Li ho raggiunti al telefono ieri, per informarli di questa pubblicazione domenicale, c’era a pranzo a casa loro il nipote: Rosella era contentissima di quella presenza, Giuseppe era rientrato dall’ufficio appositamente per stare con lui. Per la cronaca, Giuseppe, che fece gran figura con la scelta delle “Martinelle”, da allora di ristoranti non ne mai sbagliato uno. Chi è stato suo ospite e commensale, un battaglione di persone, lo può confermare. 

Non troppo tempo dopo quel pomeriggio alla Bussola Rosella e Giuseppe si sposarono. Lui, assieme a due colleghi, apri una importante agenzia assicurativa, lei lavorò all’aeroporto e, successivamente, aprì una agenzia di pratiche amministrative. A Giuseppe capitò di occuparsi professionalmente della Bussola nel 1981, quando il locale andò interamente a fuoco. La vulcanica proprietaria-manager, Ornella Vallicelli, moglie del musicista della orchestra di Secondo Casadei, Nevis Bazzocchi, e zia del formidabile batterista Enzo “Vince” Vallicelli, aveva fatto installare, tra le continue innovazioni, un futuristico laser luminoso che, nella notte, a causa di un malfunzionamento, originò il fatale incidente. Nessuno si fece male ma il danno fu enorme, in parte coperto dalla assicurazione di cui Giuseppe era agente. Ci fu iniziale scoramento, eppure, tutto ripartì: la gente aveva voglia di divertirsi, gli imprenditori avevano coraggio, il futuro era tutt’altro che una ipotesi. Il locale riaprì a tempo di record e visse almeno un altro quindicennio di gloria.

Quelli dell’incontro tra Rosella e Giuseppe erano gli anni Sessanta in Romagna, nei quali tutto appariva possibile. Anche che due ragazzi di montagna, con pochi soldi in tasca, progettassero, senza timore, faccia al vento, di stabilirsi e creare lavoro, per sé e per altri, in città. Forti della propria energia, rassicurati da una società coesa e aperta alle opportunità. Quella dei pescatori che erano diventati bagnini, delle operaie diventate artigiane, dei calzolai fattisi calzaturieri, dei contadini divenuti cooperatori, dei sensali inventatisi albergatori, dei falegnami che s’erano scoperti industriali, delle figlie di donne di servizio che studiavano da medico.

Erano bei tempi. Una delle prossime settimane, seguendo il percorso sentimentale di due brillanti ragazze gemelle, e non solo di loro, atterremo negli anni Settanta.

Buona domenica, alla prossima

Si parla di

La domenica alla "Bussola": gli anni Sessanta, tra amori nascenti e fiducia nel futuro

ForlìToday è in caricamento