rotate-mobile
La domenica del villaggio

La domenica del villaggio

A cura di Mario Russomanno

I "maestri", il prof Claudio Vicini: in curva a tifare Cesena con la moglie, l'amicizia con Benigni

Intervista a Claudio Vicini, chirurgo tra i più accreditati in Italia, precoce primario ospedaliero, conferenziere internazionale con attestati di merito raccolti in tutto il mondo

Per rendersi conto del livello professionale di Claudio Vicini basta dare un’occhiata al curriculum, impressionante, riportato dal sito della Università di Bologna, che lo annovera come prestigioso docente. Chirurgo tra i più accreditati in Italia, precoce primario ospedaliero, conferenziere internazionale con attestati di merito raccolti in tutto il mondo. Ma, per capire davvero lo spessore del figlio del maestro elementare di Cesena, è più utile conoscere un episodio di cui fui testimone. 

Qualche anno fa intervistai Vicini a “Salotto blu”; il giorno dopo la messa in onda un signore mi contattò telefonicamente. Aveva visto il programma, mi raccontò la sua storia: “mi era stato diagnosticato, a Bologna, un tumore in fase avanzata. Mi dissero che era inoperabile. Sono un imprenditore, conosco gli uomini, mi resi conto che nessuno voleva prendere in carico un caso disperato, operarmi per poi vedermi morire. Con mia moglie facemmo il giro delle sette chiese. Qualcuno mi consigliò di andare a Cesena a parlare con Vicini. Gli chiesi di regalarmi una possibilità. Mi operò, sono passati anni e sono ancora qui, sto bene, mando avanti la mia azienda”. Chiesi a quel signore perché si fosse rivolto a me: “non voglio disturbare il professore, se lo sente gli dica che io e la mia famiglia non dimentichiamo, e, se vuole, racconti questa storia in televisione”. Telefonai a Vicini, ci mise un po' a ricordare. Mi spiegò: “era un caso difficile. Altre volte non sono riuscito a salvare la vita di qualcuno, quelli sono i momenti peggiori. E non c’è bisogno di parlarne in televisione”. 

Invece, lo feci: arrivarono in redazione diverse testimonianze simili.  In seguito, è capitato a me d’essere operato da Vicini, per qualcosa non altrettanto grave. Il clima, nel reparto, era sereno, per quanto fossero in corso anche interventi drammatici e si fosse in piena era covid. Medici silenziosi e sicuri, infermieri di gran professionalità che diventavano, per i pazienti, fratelli, figli. Donne e uomini abituati ad affrontare il terrore altrui e a spandere speranza. Mi commossero. Notai anche la loro abitudine a fidarsi ciecamente del capo, il bonario prof. Vicini, leader accettato e non subito.

Il bonario prof. l’ho beccato al telefono mercoledì scorso, verso sera, nella sua casa di Cesena. Stava aiutando chi si occupa del giardino. Mi viene in mente che una sua collaboratrice, di cui sono amico, mi disse: “Vicini è uomo multitasking, sembra una donna: sa fare cose diverse, si butta”. Del resto, m’è capitato di trovarmi a tavola, in comitiva, con lui. Non parla mai di quel che fa, ascolta i mestieri altrui. Se c’è un geometra, un agronomo, un tubista, si diverte: fa domande rispettose, prende appunti. Una sera lo cercai, era impegnato con il simulatore di volo di cui s’è attrezzato nel solaio di casa. 

Claudio, da dove vieni?
Mio padre faceva il maestro elementare, mia mamma la casalinga. In casa c’era allegria ma venne il momento in cui uno stipendio non bastava più. Aprirono un albergo a Cesena, si chiamava “La torretta”. Poi affittarono due pensioni a Milano Marittima, infine aprirono un negozio di dolciumi accanto al consorzio agrario. È dai miei genitori che ho ereditato la vocazione multitasking di cui t’hanno parlato.

L’amica mi ha confidato: “non glielo dire ma il prof sta invecchiando: un tempo cominciava a lavorare alle cinque di mattina, adesso alle sei e trenta”.
La tua amica dice il vero, la natura fa il suo corso. Non possiamo chiedere a noi stessi quello che facevamo da giovani. C’è un’età per tutto, non c’è farmaco che possa cambiare le cose. Prima lo capiamo e più viviamo serenamente. Chi ha detto che non si può essere felici da anziani? Specialmente se con te c’è la persona giusta e la famiglia che hai costruito.

Ho scaricato dal web il tuo curriculum. Diploma con lode al liceo classico, ingresso alla Scuola superiore di Pisa, quell’anno foste ammessi solo in quattro. Laurea con lode e menzione, accesso al primariato con il massimo dei voti, etc etc. Sempre il migliore. Tutto quello studio, serve?
Il vantaggio di frequentare i più bravi è che tu stesso cresci. Comunque, serve abituarsi a dare il massimo, qualsiasi cosa si faccia. I giovani lo devono sapere. Specialmente quando li si vorrebbe convincere che le cose si possono ottenere senza sacrificio, giocando su furbizia o immagine. Mi verrebbe da coniare uno slogan, se lo scrivi, però, dirò che è espressione tua.

Sentiamo.
Nella vita è più importante farsi il sedere piuttosto che possedere un bel sedere. Un’immagine un po' qualunquista, perché in un bel sedere non c’è niente di male, ma mi pare renda l’idea. Ovviamente mi riferisco a femmine e maschi, che hanno identiche potenzialità e meriti. Peraltro, la larghissima maggioranza dei giovani non ha affatto paura d’impegnarsi, occorre dare loro opportunità. Abbiamo due figlie e un figlio, anche grazie a loro ho potuto conoscere un gran numero di ragazzi di cui conosco le legittime aspirazioni. Senza contare gli studenti in medicina, che incontro regolarmente

Vai ancora allo stadio?
Con mia moglie Daniela abbiamo fatto sempre tutto assieme, anche seguire il Cesena, di cui è tifosissima, in casa e in trasferta. Stavamo in curva, in mezzo agli ultras, anche quando ero già primario. Adesso, quando è molto freddo, desisto. Lei invece va. Se abbiamo tempo facciamo lunghe passeggiate in collina.

A proposito di Daniela, tu fosti, nel gennaio del 2021, uno dei primi medici a sottoporsi alla vaccinazione. Era concesso solo ai medici, mi confidasti il rammarico per non potere vaccinare lei. Poi capitò che Daniela s’ammalò di covid in forma grave.
Fu il periodo peggiore della nostra vita. Il virus colpì pesantemente, con effetti sulla respirazione, sul sistema cardiologico, sulla deambulazione. Fu ricoverata a lungo, nessuno poteva prevedere gli esiti. Io, grazie al vaccino, ero immunizzato, lei no. Ma c’erano delle regole che né io né lei avremmo violato, le dosi scarseggiavano. 

La mia amica mi raccontò che andavi ai convegni pilotando un aereo e che talvolta ospitavi i tuoi collaboratori.
È accaduto. A un certo punto della mia vita ho conseguito il brevetto, ho volato molte volte con Daniela, per diletto ma anche per raggiungere luoghi di conferenza in modo rapido. Se non ricordo male, quando andavo con colleghi, pilotavo un Cessna 172 monomotore.

Tre anni fa ti buttasti in politica.
Risposi alla chiamata di Stefano Bonaccini, giunta tramite Andrea Corsini. L’ho percepita come un dovere, si metteva in discussione il modello sanitario emiliano-romagnolo che, con i suoi limiti, è uno dei migliori al mondo.  Chiunque conosca la materia, a qualsiasi latitudine, lo conferma. Ho accettato di candidarmi nel “listino” del presidente, ho dato il mio contributo. 

Raccogliesti oltre quattromila cinquecento preferenze, una montagna.
Una esperienza positiva, anche se molto faticosa. In quei mesi aggiunsi impegni a quelli che già avevo, m’abituai a viaggiare con il motore a mille. Incontrai tantissime persone, umanamente fu appagante. Ma la politica non è il mio ambito: il politico, per sua natura, indulge alla ricerca del consenso. E il consenso non è il migliore dei consiglieri. Sono un medico, credo di conoscere un po' l’organizzazione sanitaria, lì devo stare. M’inorgoglisce far parte del comitato d’indirizzo del Irccs Sant’Orsola di Bologna, ove credo di poter servire a qualcosa.

Hai avuto maestri?
Ho avuto due grandi colleghi, più anziani di me, che molto stimavo e ai quali mi rivolgevo per consigli. Dino Amadori e Mauro Michelacci, due figure magnifiche.

La vita è strana: due luminari conosciuti ovunque, eppure nati a poche centinaia di metri l’uno dall’altro, sull’aspra montagna di Corniolo. Dove abita Maria Concetta Nanni, collega di Claudio. 
Sì, è singolare, erano due montanari. Come mia mamma, che era di Sant’Agata. Quando vinsi il concorso all’ospedale Maggiore di Bologna, al piano di sotto era primario Mauro Michelacci. E quando divenni primario io, chiesi a Dino cosa avrebbe fatto al mio posto. C’era l’opzione di rimanere a Bologna e quella di tornare in Romagna. Mi consigliò di fare quel che aveva fatto lui. Non ho bisogno di dirti cosa ha realizzato Dino Amadori in Romagna. Lavorare per la propria terra è motivo d’orgoglio.

Giri il mondo per conferenze. Verso quali culture e latitudini si orienta il sapere medico?
I vertici della nostra disciplina parlano ancora americano, non inglese, gli Stati Uniti sono il faro. Ma cresce molto l’estremo oriente, soprattutto la Corea. In una decina d’anni potrebbe primeggiare la Cina: possiede sconvolgente disponibilità economica e tecnologica e un enorme numero di casi disponibili allo studio. Alla medicina servono casi da studiare, in Cina la popolazione è sterminata. In India c’è talento ma minore organizzazione. 

Il progresso tecnologico sarà decisivo?
Sarà importantissimo. Ma la medicina è anche parlare con il paziente, conoscerlo. Trovare le parole giuste per ottenere la sua reazione. E più il caso è delicato più ciò è importante. Poi, la strumentazione conta. Quella con cui abbiamo operato te, dieci anni prima non esisteva. Poi dipenderà anche dal modello sanitario che vincerà.

Cioè?
Si dovrà scegliere se considerare inutili le persone improduttive, come capita in alcune organizzazioni, ad esempio quella statunitense. O se si salverà il modello italiano. Che prova, tra mille contraddizioni, a mettere al centro la dignità della persona, di qualsiasi età e condizione sociale. La nostra cultura è quella della “pietas” latina, che difenderò finché ne avrò forza. A cosa serve la scienza senza l’umanesimo?

Prossimamente cosa cambierà?
Avremo reparti non più separati l’uno dall’altro. Non conterà, per capirci, essere ricoverati in otorino o in gastro. L’essere in un corridoio o in un altro non farà differenza, ci si troverà in chirurgia oppure in degenza acuti, per capirci. Il sapere dei sanitari sarà sempre più condiviso, a vantaggio del paziente. Da noi si lavora già in una dimensione simile, il futuro lo si costruisce a poco a poco. Poi, ho una convinzione.

Siamo qui per registrarla.
Occorre rivalutare la figura dell’infermiere. Oggi sono tutti laureati, dobbiamo dare loro spazio professionale e opportunità economiche. Sono determinanti, se li coinvolgi di più fai cose che altrimenti non potresti fare. Il livello della prestazione ospedaliera si alza. Discorso analogo va fatto per altre figure tecniche. Tu stesso ne hai frequentate due, ultimamente, rendendoti conto della loro importanza: i logopedisti e gli ortottici. Ma ce ne sono altre, l’ospedale deve diventare sempre più una squadra con ripartizione di ruoli. L’importante è fare goal.

C’è una organizzazione sanitaria pre covid e una post covid ?
Al momento no, ho visto una eccellente organizzazione anti covid ma non mi pare che abbiamo, fino ad oggi, fatto tesoro di quel che la pandemia ha insegnato. Serve una articolazione territoriale della medicina davvero efficiente. In ospedale deve arrivare chi ne ha necessità. Il resto va fatto altrove, dove la gente ha bisogno di informazione, assistenza, prevenzione. Di percepire sicurezza.

Hai visto tante persone in condizioni di estrema debolezza, hai paura di trovarti un giorno nella stessa situazione?
Sicuramente. Però certi pensieri li metto dietro le spalle; dobbiamo evitare il dolore inutile, quando stiamo bene o abbiamo qualcosa che è curabile. So cos’è la malattia, se la dovrò affrontare ci vorrò arrivare non sfinito da una paura che, al momento, non servirebbe a nulla.

Ti ho sempre visto gentile, disponibile, con chiunque. Tutti te lo riconoscono.
E chi siamo mai per non poterci rendere disponibili? Ti racconto un episodio. Daniela ed io siamo amici di Roberto Benigni e Nicoletta Braschi. Qualche anno fa, ero a Roma per lavoro, ci invitarono a cena a casa loro. Prendemmo un taxi, demmo l’indirizzo. Loro fanno vita ritirata, te lo immagini Roberto in giro per Roma? Roberto, squisito, scese per accoglierci. Il taxista, che stava ripartendo, lo vide e quasi impazzì. Scese ad attaccargli un bottone, voleva sapere mille cose. Roberto, icona della cultura mondiale, riservato come pochi altri, rimase una decina di minuti lì fuori con lui per dargli soddisfazione. Se è disponibile Benigni non dobbiamo esserlo noi?

Chiudo, saluto il prof. e lo riconsegno al giardiniere, ammesso che abbia avuto pazienza d’aspettarlo.
Buona domenica, alla prossima.
 

Si parla di

I "maestri", il prof Claudio Vicini: in curva a tifare Cesena con la moglie, l'amicizia con Benigni

ForlìToday è in caricamento