rotate-mobile
La domenica del villaggio

La domenica del villaggio

A cura di Mario Russomanno

“Sono solo, ho bisogno di aiuto!"

Nei giorni successivi all’alluvione Tazzari percorse la Romagna con la macchina fotografica per documentarne i drammatici lasciti su cose e persone, per mettere in luce l’orgoglio di chi riafferrava la propria quotidianità e la commovente catena di solidarietà.

La fotografia che vedete venne scattata a Faenza nel Maggio del 2023 dal ravennate Luigi Tazzari, professionista appassionato che ho conosciuto un mese fa a “Salotto blu”. Nei giorni successivi all’alluvione Tazzari percorse la Romagna con la macchina fotografica per documentarne i drammatici lasciti su cose e persone, per mettere in luce l’orgoglio di chi riafferrava la propria quotidianità e la commovente catena di solidarietà.

Ne scaturì un pacchetto di efficaci istantanee che sono ora in mostra, visibili gratuitamente, presso il centro sociale “Le rose”, a Ravenna. Tra quelle immagini, una in particolare mi ha colpito, per il messaggio che ci manda. 

L’improvvisato cartello con la dicitura “Sono solo, ho bisogno di aiuto”, era stato vergato ed esposto da un uomo non più giovane. Così mi ha riferito Tazzari. Chi sia quell’uomo non so e non serve saperlo. Conta quel che il cartello ci trasmette.

Prima di tutto è un appello accorato ai soccorritori, impegnati in un’attività estenuante, un grido con  raccomanda loro: “non lasciate che scompaia dai vostri radar, sono solo e, pertanto, ho più difficoltà di altri”. 

Poi, quel cartello ci ricorda che la solitudine esiste, più di quanto vogliamo immaginare. Io stesso, che scrivo questo pezzo e che, dunque, mi arrogo il diritto di pontificare, penso malvolentieri alla solitudine. la scaccio, la disinnesco. La esorcizzo, magari, con una battuta folgorante coniata molto tempo fa da Giuseppe Bertaccini, alias “Sgabanaza”: “lo sai perché i vecchi non giocano a nascondino? Perchè nessuno li andrebbe a cercare”.

Ai tempi in cui Giuseppe concepì la barzelletta, sul tema, in Romagna, ci si poteva ancora scherzare. Cosa era la Romagna, allora? Una rete senza eguali di relazioni e vicinanze. Nessuno, nel globo, poteva insegnarci il mestiere di dare un’occhiata al vicino. Anche per il gusto di un pettegolezzo, di scambiare un motto di spirito o una esperienza. E, al semplice adombrarsi d’una malinconia sul volto di chi c’abitava accanto, di una collega, di un amico che non incontravamo più, scattava l’allarme, Che spesso diventava collettivo. Ci si passava la voce, si alimentava un circuito di coccole con cui sostenere chi ne aveva necessità.

Nessuno era veramente solo, in una benevola ragnatela di circoli politici, parrocchie, associazioni, ritrovi, luoghi del ballo e del tempo libero, dello sport e della cultura. Di cui, chi più chi meno, ogni persona adulta faceva parte.

Molta acqua è passata sotto i ponti. I cambiamenti sociali e di costume, il mito individualista del successo, le negative transizioni economiche, l’accresciuta sperequazione tra chi ha molto e chi ha poco, e tanto altro che sarebbe noioso elencare e leggere, hanno cambiato il quadro.

E’ pur vero che di fronte alle grandi emergenze, pandemia e alluvione lo hanno recentemente testimoniato,  siamo solleciti nell’impegno di porre argine alle sofferenze altrui. Ma la realtà di tutti i giorni, la grigia quotidianità, ci sfugge. Non siamo diventati egoisti, questo no. Il punto è che la solitudine ci spaventa a tal punto da non volerla vedere. 

Dino Amadori, il grande oncologo umanista che fondò Istituto Oncologico Romagnolo e Irst,  raccontava che, nella montagnosa Corniolo ove era stato bambino, il cancro non lo si nominava mai. Era un male oscuro e letale che nessuno voleva indicare: si temeva che evocarlo portasse sfortuna.

Qualcosa di simile, fatte le debite proporzioni, mi pare avvenga, nella società attuale in riferimento alle solitudini.

Nell’ultimo anno sono intervenuti a “Salotto blu” il direttore della Caritas riminese, Mario Galasso, e quello della Caritas forlivese, Filippo Monari. Persone autorevoli che guidano sodalizi  impegnati, con nobili intenti ed efficacissime azioni, nell’aiuto a persone in difficoltà sociale ed economica. 

Entrambi hanno spiegato come il tema delle solitudini stia diventando sempre più centrale. Galasso e Monari, che oltre ad essere direttori operativi sono anche studiosi della materia, sottolineano che l’abitudine a tenere rapporti virtuali attraverso strumenti telematici e “social”, lungi dal favorire effettivi scambi relazionali, sta incentivando atteggiamenti solipsistiche in grado di sconfinare nella emarginazione.

Per altro, basta chiedere a bariste e baristi, categorie la cui funzione sociale è sottaciuta: vi diranno che molte persone, specialmente anziane e specialmente dopo la pandemia, non si vedono più. Non escono a far due chiacchiere, non incontrano gente. Se ne stanno a casa, talvolta sole. In un contesto in cui farci i problemi degli altri, anche per pudore, ci risulta sempre più ostico. 

La fotografia scattata da Tazzari, dunque, ci ricorda il dramma dell’alluvione, ma anche certe crescenti e subdole  difficoltà del vivere nella nuova società.

L’uomo che ha scritto quel cartello potrebbe essere chiunque di noi. Noi stessi in primis, ma anche le istituzioni, dobbiamo ricordarlo. E inserirlo nella agenda delle questioni da affrontare.

Grazie per questa lettura, buona domenica. Alla prossima.

Si parla di

“Sono solo, ho bisogno di aiuto!"

ForlìToday è in caricamento