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La domenica del villaggio

La domenica del villaggio

A cura di Mario Russomanno

Verso le elezioni, il problema dei problemi: per la collina e la montagna serve un piano Marshall

Il problema dei problemi, di cui non si discute a sufficienza, è quello, in Romagna, dell’ulteriore spopolamento di collina e montagna

Se uno è goloso di elezioni lo aspetta una scorpacciata. A Giugno si voterà per le europee e, in molti comuni romagnoli, per le amministrative. Attenzione, poi, alle regionali, previste per la primavera del 2025. Stefano Bonaccini è in predicato di candidarsi alle europee. Sull’argomento le bocche sono cucite, a Bologna. Pare che neppure i suoi assessori ne conoscano le intenzioni. Ma consiglieri regionali, di maggioranza e opposizione, a microfono spento danno per certo che il Governatore scenderà in lizza. A quel punto probabilmente si voterebbe, anticipatamente, entro il 2024.

In campagna elettorale vige il gioco delle parti, l’accusa reciproca, il cazzeggio. I temi difficili da affrontare, che necessitano di soluzioni impopolari e di accordi bipartisan, vengono tenuti fuori dall’uscio. Come si faceva un tempo in Romagna con i visitatori marchigiani, gabellieri per conto dello Stato Pontificio. Il problema dei problemi, di cui non si discute a sufficienza, è quello, in Romagna, dell’ulteriore spopolamento di collina e montagna. Non parlo per sentito dire: negli ultimi mesi ho ascoltato a “Salotto blu” gli accorati interventi di tanti di loro, di sinistra e destra: Filippo Sica, sindaco di Montefiore, Mauro Giannini di Pennabilli, Sara Bartolini di Roncofreddo, Enrico Cangini di Sarsina, Claudio Milandri di Civitella, Federica Malavolti di Riolo, Jader Dardi di Modigliana, Luigi Lotti di Rocca San Casciano, Giovanni Monti di Portico, Daniele Valbonesi di Santa Sofia, Francesca Pondini di Galeata, Simona Vietina di Tredozio. Un campione rappresentativo, dal quale ho escluso i primi cittadini dei comuni che insistono su Via Emilia e dintorni. Ne faccio i nomi per rendere palese quanto il problema sia presente e condiviso.

Sindache e sindaci coscienti e preoccupati. Gente vera, che tiene le redini di amministrazioni per pochi soldi, con passione civile, con disponibilità personale H24. Gente messa ulteriormente a dura prova da pandemia e alluvione. E se la pandemia aveva alimentato la flebile speranza di una riscoperta di collina e montagna, alluvione e frane hanno inferto una mazzata tremenda e chiuso la fiera delle illusioni. Sindache e sindaci consapevoli di non poter offrire prospettive senza aiuti e collaborazioni da parte delle città, della Regione, del Governo. In sostanza, della politica “che conta”.

Sindache e sindaci che, nelle località ricche di tesori ambientali, storici e artistici che amministrano affrontano domande senza risposta: come si  mantengono le scuole se mancano i bambini, come si difende il lavoro se produrre in collina costa troppo di più che in pianura, come si assiste una popolazione sempre più anziana se mancano i medici, quali nuove famiglie possono arrivare se mancano servizi per l’infanzia, come si attirano i giovani senza opportunità da offrire a laureati e scolarizzati, come si garantiscono le famiglie senza sportelli bancari, distributori di carburante, etc?

Cosa fare? Negli ultimi giorni ho posto il quesito a quattro romagnoli, persone franche e dirette che osservano con partecipazione l’evolversi della situazione da importanti osservatori. Sintetizzo, volgarmente, quel che mi hanno detto.  

Mattia Altini, presidente nazionale dei medici-manager, già direttore sanitario della Ausl della Romagna: “Senza medici non si fanno diagnosi, anche se infermieri e altre figure potrebbero assorbirne qualche mansione. E poiché nel Paese, nel nuovo millennio, si è clamorosamente sbagliata la previsione sul numero di medici che sarebbero serviti, i centri periferici sono oggi quelli più in difficoltà. Servono soluzioni nuove, come quella di gratificare economicamente i medici disposti a trasferirsi. In altri Paesi lo si fa abitualmente per i territori svantaggiati. E serve rilanciare l’idea di medicina del territorio. Il senso di insicurezza sulla salute propria e dei familiari, che sia effettiva o solo percepita, svuota le comunità”.

Carlo Battistini, presidente della Camera di Commercio della Romagna, già direttore di Confcommercio a Cesena e vice direttore di Confcooperative a Forlì, per dieci anni vice sindaco di Cesena: “Collina e montagna pagano anche la mancata programmazione territoriale un tempo assicurata dalle Province, che garantivano raccordo tra città e paesi e disponevano di risorse e competenze da offrire alle piccole comunità. Il depotenziamento delle province, deciso a Roma una dozzina di anni fa, è stato un errore. Certo, a collina e montagna, si potrebbe offrire un maggiore supporto per l’utilizzo di conoscenze e tecnologie; giovani e imprese se ne gioverebbero. Ma, complessivamente, servono politiche di ampio respiro che incentivino a scegliere quei territori”.

Mauro Fabbretti, ingegnere e presidente della federazione regionale delle banche di Credito Cooperativo. “Le nostre banche sono figlie delle antiche Casse Rurali, il localismo per noi è vocazione. Fino ad ora abbiamo mantenuto ovunque i nostri sportelli, siamo consapevoli del ruolo  sociale che svolgiamo. Ma oggi i giovani preferiscono usufruire dei servizi bancari in remoto e le comunità collinari e montane si assottigliano. Le banche sono imprese come altre, per di più sottoposte a regole ferree riguardanti i propri conti economici. Ancora per qualche anno noi del Credito Cooperativo manterremo certamente sportelli aperti, ma chi può  giurare per il domani se lo spopolamento continuerà? Per collina e montagna servono politiche di sostegno davvero efficaci, altrimenti il futuro sarà nebuloso”

Rosaria Tassinari, parlamentare e coordinatrice regionale di Forza Italia, è cresciuta a Rocca San Casciano, paese di cui è stata sindaca per dieci anni. “Io stessa ho proposto al Parlamento agevolazioni fiscali per le comunità collinari e montane, non sono l’unica e non accampo meriti. Ho proposto la riduzione del cuneo fiscale per chi lavora in collina e garantisce servizi:  insegnanti, personale  sociale  e sanitario, biblioteche, asili, etc. Poi ci sono le attività agricole da sostenere con provvedimenti riferiti anche al cambiamento climatico, considerando che collina e montagna costituiscono il benefico polmone delle altre aree. E’ urgente intervenire, ma serve che la politica intera se ne occupi, senza primogeniture.” 

Insomma, la situazione è critica. Andrebbe affrontata con spirito di collaborazione. Non a spallate, per mettere in pista provvedimenti emergenziali servono volontà convergenti. La Romagna deve floridezza e tenuta sociale alla virtuosa sintesi tra mare, pianura e montagna. Se dovesse saltare uno di questi cardini, i danni sarebbero irreparabili anche per gli altri. Dobbiamo sperare che, dopo il lungo periodo elettorale, si apra una stagione di riflessioni. Montagna e collina da sole non possono farcela. Per usare un’espressione ricorrente, serve una sorta di Piano Marshall. 

Nessuno vuole immaginare la messa in pericolo di un immenso patrimonio di storia e di orgoglio, di verde e  di cultura, di relazioni sociali  e talento imprenditoriale. Quello sviluppato per secoli in collina e montagna. E neppure una  nuova e obbligata migrazione, dopo quella degli anni sessanta che si indirizzò verso il polo chimico ravennate, quello del mobile forlivese, quello alimentare cesenate. Anche perché quei poli non esistono più. Nel lavoro parcellizzato, instabile e spesso impalpabile del terzo millennio, le vie di fuga collettive sono ormai una chimera.

Grazie per questa lettura, buona domenica, alla prossima.


 

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