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Domenica, 28 Aprile 2024
Briciole di natura

Briciole di natura

A cura di Riccardo Raggi

Il faggio, simbolo delle Foreste Casentinesi: ce ne sono esemplari di oltre 500 anni d'età

È un albero che, a maturità, può arrivare anche a 40m di altezza e diametro di anche 2,5m; sebbene non troppo longevo, nella Riserva Integrale di Sasso Fratino sono stati rinvenuti diversi esemplari di oltre 500 anni d’età

Le faggete del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi sono famose in tutto il mondo, tanto che quelle più antiche (le cosiddette “foreste vetuste”) nel 2017 sono state dichiarate dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. Il faggio è l’albero simbolo per tutti i romagnoli che d’estate vanno a godersi un po’ di fresco sotto le sue fronde o che in autunno vanno a cercare porcini vicino alle sue radici: forse vale la pena conoscerlo un po’ più a fondo.

Il Faggio occidentale (Fagus sylvatica) è una latifoglia diffusa in tutta l'Europa occidentale e trova la sua distribuzione naturale dalla Scandinavia meridionale alla Sicilia settentrionale, dalla Grecia e la Moldavia a est, fino alla Cornovaglia e Spagna a ovest. Diffuso nella fascia fitoclimatica del “fagetum” (proprio perché ne rappresenta la pianta guida), possiamo trovarlo dai 600m di quota fino ad oltre i 1700m. 


In Italia il faggio si trova nelle zone montane di tutte le regioni e delle isole mediterranee orientali, sebbene la latitudine e l'altitudine a cui vegeta siano strettamente correlate nel definire la sua diffusione altitudinale: via via che ci si sposta verso nord diminuisce la quota a cui vegeta. Due famosi botanici italiani (Lausi e Pignatti) nel 1973 hanno valutato che per ogni grado di latitudine nord, si abbassa di circa 110m il limite superiore della faggeta.


Il faggio è una specie mesofila (cioè senza particolari adattamenti alle alte e basse temperature e che predilige ambienti che non sono né troppo umidi né troppo aridi) e sciafila (che predilige gli ambienti poco illuminati): non a caso si associa bene (e naturalmente) all’abete bianco, andando a formare quei boschi tipici delle zone alpine, definiti Abieti-Fagetum. Nel nostro Parco Nazionale Foreste Casentinesi questa tipica associazione (non naturale, in quanto l’abete bianco è stato piantato dei monaci camaldolesi) è ben visibile nella zona di Campigna, fino ad attenuarsi man mano che si sale di quota e si giunge al crinale. Ovviamente vi sono altre piante che ben si accompagnano al faggio: Tasso, Acero di monte, Acero riccio, Frassino maggiore, Olmo montano, Sorbo degli uccellatori, Tigli, Ciliegio selvatico e Pioppo tremolo, tutti presenti nel Parco Nazionale e spesso visibili consociati al faggio stesso.


È un albero che, a maturità, può arrivare anche a 40m di altezza e diametro di anche 2,5m; sebbene non troppo longevo, nella Riserva Integrale di Sasso Fratino sono stati rinvenuti diversi esemplari di oltre 500 anni d’età, questo a testimonianza di quanto possa essere preziosa questa Riserva Statale, che a giusto titolo è stata annoverata dell’Unesco fra le più importanti “antiche faggete primordiali dei Carpazi e delle altre regioni d’Europa”.


La chioma, nel complesso, ha un aspetto piuttosto globoso ed ampio, con foglie ellittiche dall’apice acuto: appena germogliate le foglie hanno un colore verde chiaro molto acceso, con margine cigliato e una consistenza “morbida” (quasi erbacea): a maturità diventeranno verde scuro nella pagina superiore; il margine è intero e leggermente ondulato. Come in altre specie appartenenti alla stessa famiglia, le foglie che si trovano maggiormente alla luce sono più spesse di quelle che restano per più tempo in ombra; sono inoltre più piccole, ma con un numero maggiore di stomi. La modalità di germogliazione è particolare: le foglie spuntano prima nella parte bassa della chioma, con priorità per quelle d'ombra, e poi le altre a seguire, con una differenza tra le piante che, a parità di quota, può essere anche di 15 gg. La corteccia è di colore grigio chiaro, liscia, con caratteristiche striature orizzontali; inoltre spesso è colonizzata da licheni, che formano delle macchie tondeggianti e biancastre. 


Il frutto (faggiola) è dotato di una cupola lunga circa 2,5cm, coperta da lunghe squame: ciascun frutto contiene 2 semi tricuspidati di colore marrone, che vanno a maturità in settembre-ottobre. La fruttificazione del faggio si verifica in modo molto irregolare: la produzione di faggiole può essere scarsa e quasi assente per diversi anni, a cui fa seguito una stagione di produzione molto abbondante. L’annata di fruttificazione viene chiamata pasciona e si ripete ciclicamente ad intervalli irregolari di 5 – 8 anni. Seppur destinate principalmente al consumo animale, le faggiole hanno avuto anche una certa importanza per l’alimentazione umana: in passato infatti erano utilizzate, spremendole da fresche, per la produzione di un olio, oppure seccate e macinate per ricavarne farina e persino un succedaneo del caffè.


Il legno, di colore crema o rosato, è ricco di sostanze molto nutrienti, tanto che quello morto e caduto in foresta in breve tempo viene aggredito da funghi e altri decompositori. Un importantissimo “ospite” dei legni marcescenti di faggio è l’insetto saproxilico-xilofago Rosalia alpina, un bellissimo coleottero cerambicide di colore azzurro, che depone le uova solamente in questa tipologia di legname. Duro e pesante, ma facile da lavorarsi, il legno è utilizzato per mobili e numerosi altri oggetti domestici, di lavoro e di uso comune, e in passato forniva un ottimo carbone, secondo per potere calorifico solo a quello del carpino nero.


L’etimologia del genere “Fagus” deriva dal greco dorico “φαγός fagós” (latino, fagus) = faggio; l’epiteto specifico “sylvatica” deriva dal latino “sylva” = selva, bosco cioè “pianta che cresce nei boschi, nei luoghi selvosi”.

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