rotate-mobile
Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

L’armatura di Mostarda

In attesa di poter visitare l’armeria Albicini, ecco la vita di un uomo che ha vissuto del mestiere delle armi

L’Armeria Albicini è uno di quei “musei invisibili” che da decenni restano preclusi a curiosi, ad appassionati, a turisti. Si tratta di una raccolta di cinquecento armi donata dai marchesi Albicini ai musei civici di Forlì. I manufatti sono pure molto antichi, preziosi e curiosi e sono collocati nel Palazzo degli Istituti Culturali o del Merenda. Non si dirà oltre su questo argomento anche perché lo scrivente non è mai riuscito nell’impresa di vedere l'Armeria dal vivo. Basti dunque estrarre dal cilindro un nome che potrebbe ricorrere nelle tavole natalizie più tradizionali: Mostarda. In questo caso, però, s’intende un condottiero noto, appunto, come Mostarda da Forlì. 

Essendo un personaggio nato nel Trecento, non si può dire che abbondino informazioni sul suo conto. Leone Cobelli ricorda che “si gloriava che nelle battaglie diverse haveva havuto cento ferite nel suo corpo, delle quali mostrava le cicatrici”. Si sa che era nato a Forlì da un certo Ugolo da Strada e la prima sua traccia nella storia porta la data del 1379 quando lui e la sua truppa di mercenari erano al servizio di papa Urbano VI nella battaglia di Marino. Si chiamava Perelio, detto Mostarda, da Strada. Secondo l’opinione di molti storici, si deve a Mostarda da Forlì l’armatura integrale in ferro, quella “tipica” la cui immagine la nostra mente associa subito alla parola stessa.

Pare dunque che fosse un’invenzione di questo capitano di ventura, quelle tutte in ferro che a poco a poco avrebbero soppiantato le vecchie armature in cuoio cotto. Il suo nome viene affiancato a Giovanni Acuto o Alberico da Barbiano, personaggi che allora erano vere e proprie celebrità nella professione delle armi, capaci di combattere al soldo dell’una o dell’altra potenza, con un piccolo esercito privato, motivato dal denaro e dalla gloria. Così Mostarda presterà servizio in diversi luoghi: fu prevalentemente al soldo dello Stato Pontificio, pertanto “in casa” lo si trova spesso contro gli Ordelaffi anche se aiuterà Pino a conquistare Sadurano. Il suo campo d’azione, come detto, era prevalentemente lo Stato Pontificio, soprattutto tra Marche e Umbria. Si rivelerà fedele ma non troppo: oltre alle condotte di lusso, specialmente quelle del Papa (o dei Visconti di Milano, o dei Malatesta di Rimini), si ritagliò il ruolo di libero condottiero autorevole, con una carriera di alti e bassi tra ambizioni e avidità. 

Da bravo professionista era particolarmente attento a denaro e privilegi. Nel 1394, infatti, un suo contratto prevedeva che il salario per le prestazioni militari spettasse alle comunità locali, con il prelievo bimestrale di taglie. La cittadina di Treia doveva conferire al condottiero forlivese una somma pari a trecento ducati. Anche Macerata doveva far di conto con Mostarda che non era certo a buon mercato. Nel 1396, evidentemente amante del buon guadagno, pensò di ribellarsi alla Chiesa per riscuotere personalmente le taglie di sua spettanza, senza intermediari.

Le piccole comunità del tempo non erano sempre puntuali nei pagamenti, e allora accettava rate. Se però la morosità fosse stata eccessiva, prima avrebbe minacciato e poi si sarebbe lanciato in rappresaglie feroci e improvvise nei territori che la tiravano lunga coi pagamenti. Si era fatto notare anche per scorribande e saccheggi, come quelli di Ascoli Piceno e nelle campagne viterbesi. Soldi, privilegi ed entrature gli permisero di fondare uno Stato personale su terreni donatigli il 6 febbraio 1398 da papa Bonifacio IX. Questo territorio si estendeva nella fascia collinare tra Senigallia fino all’altezza di Fermo, coi castelli di Percozzone, Pollenza e Amandola. 

Questa mossa fece sollevare altri ambiziosi colleghi, tra cui Paolo Orsini, capitano generale della Chiesa, a sua volta signore di Canino, Fiano Romano, Gallese, Orvieto, Montalto di Castro, Olevano, Marta, Narni e Tuscania. Insomma, era un personaggio da tenersi amico: cognome importantissimo, potere ben più vasto rispetto a quello del provinciale Mostarda. Avevano combattuto insieme, anni prima, ora la rivalità tra questi due campioni creava danni e malcontento.

Intervenne, infatti, Bonifacio IX che fece in modo di separare i due galli nel pollaio. Il nuovo pontefice, Innocenzo VII, si mostrò molto amico del forlivese, ciò bastò per attirare su sè gli strali di odio degli Orsini. Vero è che senza questi due condottieri, il soglio di Pietro avrebbe passato diversi guai. Per esempio, nell’agosto del 1405, i romani erano insorti contro il pontefice sobillati da Ladislao re di Napoli. Il Papa fuggì da Roma per rifugiarsi a Viterbo. Arrivarono Mostarda e Paolo Orsini e, insieme, sconfissero gli avversari e riportarono il Papa a Roma, obbligando alla fedeltà i romani insorti. 

Finché, negli Annales Forolivienses, si legge: “Paulus Ursinus capitaneus magnus gentium, Rome occidit Mostardam de Forlivio ductorem gentium et strenuum ac bellicosum in armis”. Cioè a Roma Paolo Orsini uccise Mostarda da Forlì. Era il 23 settembre 1405 e la motivazione principale è antica e terribile: “per invidiam”. Secondo questa fonte, ciò accadde in una sala del palazzo pontificio e pare che papa Innocenzo VII abbia visto tutto. Difficile districare l’intrigo, altre fonti riportano sfumature diverse benché, sostanzialmente, le colpe ricadano sempre sulla famiglia Orsini. 

Aveva goduto anche di una vita privata, Mostarda, e da una certa Alessandra ebbe prole: due figlie femmine e cinque maschi. Tra essi, si distinsero come capitani di ventura Giovanni e Ludovico, noti poi come Giovanni Mostarda e Ludovico da Forlì. 

Si parla di

L’armatura di Mostarda

ForlìToday è in caricamento