Debutta a Crisalide Festival lo spettacolo di Roberto Magnani "Siamo tutti cannibali"
Dopo la residenza artistica al Teatro Félix Guattari di Masque Teatro, debutta negli stessi spazi a Crisalide Festival lo spettacolo scritto e interpretato da Roberto Magnani, con le musiche dal vivo di Giacomo Piermatti e la regia del suono di Andrea Veneri. L'appuntamento con "Siamo tutti cannibali. Sinfonia per l'abissio", tratto da "Moby Dick" di Herman Melville, è per giovedì 26 agosto alle 19 e 21.30. Il lavoro sarà poi ospite della 41ª edizione di Opera Estate-Festival Veneto a Bassano del Grappa (28 agosto) e della 17ª edizione del festival Cabudanne de sos Poetas a Seneghe, in Sardegna (5 settembre).
In "Siamo tutti cannibali", dove il vero protagonista è l’abisso che abita ogni essere umano, risuonano le voci del capitano Achab, del narratore Ismaele e di tutto l’equipaggio della baleniera di Melville, assieme alla presenza tetra e demoniaca degli squali. Il tempo della scena è un antro misterioso e fa affiorare una domanda: siamo tornati indietro o siamo all’inizio di una nuova umanità? «Il mio primissimo esperimento teatrale in solitaria – ricorda Roberto Magnani – (allestito un’unica volta, nel 2006) s’intitolava Il mondo dei squali, come recitava il titolo sgrammaticato su un poster pubblicitario di un circo acquatico, usato come unico elemento scenografico. Ero partito da La predica agli squali, un frammento di dialogo estrapolato dal capitolo LXIV di Moby Dick intitolato La cena di Stubb e, su suggerimento di Marco Martinelli e Ermanna Montanari, avevo provato a costruirgli intorno una serie di scene che avevano come unico fil rouge, appunto, gli squali».
«Moby Dick è da sempre, da quando l’ho letto per la prima volta poco più che ventenne, il mio livre de chevet. Il più grande libro di mare mai scritto, forse il più bel romanzo americano, un caposaldo della cultura occidentale». Un libro sulla rovina, sul tramonto della nostra società, canto straziante e psicotico, mistico e delirante. «L’ho letto oramai diverse volte, ci torno spesso e, come un libro magico, aprendolo a caso ottengo indicazioni sul futuro. Credo che non esaurirò mai il mio rapporto con questo libro, continuerò a lavorarci per tutta la vita, come una fonte di inesauribile sapienza».
Siamo tutti cannibali, però, è nato da una precisa richiesta: Giacomo Piermatti, sopraffino contrabbassista allievo di Daniele Roccato e di Stefano Scodanibbio, dopo aver collaborato con le Albe in Purgatorio, chiamata pubblica per la “Divina Commedia” di Dante Alighieri, ha proposto a Magnani un percorso di lavoro a due che, dopo qualche esperimento, si è concretizzato attorno a una prima selezione di brani tratti proprio da Moby Dick. Data l’impronta musicale e sonora del lavoro di voce e contrabbasso si è unito alla squadra, con un contributo prezioso e fondamentale, Andrea Veneri, giovanissimo regista del suono allievo di Luigi Ceccarelli (storico collaboratore del Teatro delle Albe), anche lui conosciuto e apprezzato durante il pluriennale lavoro su Dante della compagnia ravennate.
Il Pequod, la baleniera capitanata da Achab, è in Melville un affollarsi di voci e di razze, una vera nave americana, una nave di folli agli ordini di un folle capitano in una folle caccia a un fantasma. E in questa sinfonia, il contrabbasso – amplificato in modo da creare piani sonori ben differenziati e con l’aggiunta di elaborazioni basate sul ritardo e la moltiplicazione del suono che ne modificano e incrementano l’espressività – diventa la voce dell’intero Pequod, pervaso dagli scricchiolii del ponte sotto i piedi dell’equipaggio come dal furioso sbattere di code degli squali affamati contro la prua. Una sinfonia in cui la musica, creando uno spazio sia emotivo che fisico, tenta di manifestare tutto quello che le parole lasciano solo intuire, mentre le variazioni timbriche della voce, che si succedono durante la performance, vengono amplificate attraverso l’uso di riverberazioni digitali che ne variano la spazialità, l’enfasi o la crudezza.
Il tempo della scena è misterioso: siamo tornati indietro o siamo all’inizio di una nuova umanità? E altrettanto misterioso è lo spazio scenico: relitto adagiato sul fondo dell’oceano o magari cimitero di navi, oppure, ancora, antro oscuro (il ventre della balena, come Geppetto e Pinocchio? O forse solo un teatro?) in cui, come totem, sorgono frammenti, lastre metalliche piegate, corrose, consumate dal tempo. Su queste, la mano del giovane artista ravennate Bacco Artolini ha disegnato segni antichi, geroglifici, rappresentazioni di antiche o nuove divinità.
«I capolavori della letteratura formano sempre una specie di lingua straniera nella lingua in cui sono scritti. Penso a Foglie d’erba di Whitman o a Pinocchio di Collodi. Melville ne inventa una – la “lingua della Balena”, la chiama Deleuze – che stravolge l’inglese. Lingua inumana o sovrumana. Da qui, la scelta di ricorrere alla traduzione di Cesare Pavese. Non solo perché fu il primo traduttore del romanzo in Italia o per l’esperienza d’abisso che l’autore de Il mestiere di vivere si portava addosso, ma soprattutto per la musica della sua lingua non databile, sospesa nel tempo come può esserlo la grande poesia. Un italiano che non è più solo italiano ma lingua originale e originaria proprio come quella di Melville. Una lingua-mondo, una sorta di Bibbia segreta e magica».
Nelle prime pagine del suo capolavoro, Melville consegna la chiave d’oro per leggere il romanzo: “E ancora più profondo di significato è quel racconto di Narciso che, non potendo stringere l’immagine tormentosa e soave che vedeva nella fonte, vi si tuffò e annegò. Ma quella stessa immagine noi la vediamo in tutti i fiumi e negli oceani. Essa è l’immagine dell’inafferrabile fantasma della vita; e questo è la chiave di tutto”. Mito tragico, quello di Narciso, che parla della ricerca del “chi siamo?” e del “chi sono io?”. Una ricerca che, nel mito, ha come soluzione la morte, l’andare letteralmente a fondo. Fare esperienza dell’abisso, esperienza fisica del fondo oscuro che abita in ognuno di noi. Essere ammaliati dalla musica incantatoria che proviene dal fondo del burrone, camminarci accanto, rischiando più volte di scivolare e poi precipitare, inabissarsi definitivamente, non vedere più la luce e la possibilità di risalire.
«Da bambino – dice Magnani – amavo, durante i mesi estivi, giocare spesso nel cortile di casa all’ombra di un piccolo melograno. Riempivo di acqua una grande bacinella di plastica azzurra, di quelle che si usavano per lavare i panni, e quella subito diventava il mio oceano. E in quell’oceano animavo avventure fantastiche, facendo coesistere personaggi e storie diverse legate ai giocattoli che in quel momento occupavano la mia immaginazione. Ricordo un sottomarino nero, un grande squalo bianco e un demone dalla pelle bluastra con un teschio al posto del viso. Figure che formavano la mia personale cosmogonia di un universo acquatico». Secondo i miti orfici, Dioniso fu ucciso dai Titani mentre si guardava allo specchio. Specchiandoti crei il mondo, ma la creazione e la conoscenza di questo mondo non rispondono alla realtà. La fonte d’acqua agisce come uno specchio, mettendo insieme, dunque, superficie riflettente e profondità oscura. Così, nel gioco del Teatro, una bacinella può per incanto tornare a trasformarsi in uno specchio d’acqua che raccoglie in sé tutti gli oceani del mondo».
INFO
teatrodellealbe.com
crisalidefestival.eu