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Lunedì, 29 Aprile 2024
Arte

Un percorso dal piccolo terreno all’ultraterreno: ultimi giorni per ammirare la mostra "Incorruptio" di Cristian Casadei

Anche il profano coglie l’importanza di ciò che è esposto, sintesi matura dell’artista forlivese che ha appena valicato il confine dei cinquant’anni e che sta già pensando ad altro, non amando le riproposizioni. 

Sono gli ultimi giorni per la mostra “Incorruptio” dell’artista forlivese Cristian Casadei che, dal 23 aprile, è allestita al pianterreno del castello della Mesola. Se ne può parlare alla fine, un po’ perché l’autore è schivo e non ama troppo i riflettori pur essendo scenografo, e un po’ perché le cose di significato richiedono tempo per chiamare un giudizio. In realtà non è arte “difficile” se si leggono i commenti del libro delle firme sia per quantità sia per qualità, vero è che l’arte che merita deve celare sotto un’apparente semplicità un lavoro che coinvolge tutto dell’umano. Anche il profano coglie dunque l’importanza di ciò che è esposto, sintesi matura dell’artista forlivese che ha appena valicato il confine dei cinquant’anni e che sta già pensando ad altro, non amando le riproposizioni. 

Ci si accorge subito che si ha davanti una mostra non comune, preziosa fin nel colpo d’occhio: una serie di ovali (il termine di per sé è riduttivo) che raccontano un pensiero non astratto, ma che, nella sua corporeità, sublima in qualcosa di molto più vasto. Oli su tavole di rovere e disegni sono consequenziali, la mostra ha senso con tutte le opere una dopo l’altra ordinate per accompagnare il visitatore in un percorso dal piccolo terreno all’ultraterreno, con variazioni di forme e di colori che paiono quasi muoversi nella paradossale fissità. L’occhio anche non allenato a poco a poco riesce a vedere una trasposizione dalle forme proprie di un polso oppure di misteriosi e pulsanti organi interni, vivi, non deposti sul tavolo anatomico né sul banco del macellaio. Carne viva, appunto, che traspira lasciando trasparire altro: una palpebra può nascondere o diventare un orizzonte, per esempio. Ma lo fa gradualmente, piano piano, e ogni passaggio è ben scandito da piccoli passi attenti e sfumati. 

Parti del corpo diventano parti del mondo, dal particolare della creatura alla complessità del creato. Una via del tutto originale che trae le mosse da uno zelo nell’osservazione dei dettagli della pelle anche più insignificanti, ricchi di studio paziente, e un po’ si rivede il concittadino Morgagni, il Sommo anatomico, con fughe proprie dell’artista. Si può assistere alla sublimazione da una semplice mano a un’alba, a qualcosa che richiama l’infinito e tale è il senso: non solo descrivere il “corpaccio” ma collocarlo nella trascendenza conferendogli dignità e scintille d’eterno. E ciò può avvenire attraverso la perizia, l’esperienza, la vita, la riflessione, la scelta dei materiali, delle luci e degli spazi; corpo e anima, sensi e metafisica. I colori riverberano una luce antica, preziosa, da tempi antichi. Si può scomodare, a questo punto, Santa Ildegarda di Bingen secondo la quale “l’uomo è il centro della creazione e tutta lo riguarda” e pur essendo “piccolo materialmente” è “dotato di grande anima” in quanto “come con gli occhi del corpo vede le creature, con quelli della fede vede Dio in tutto il creato”. La mostra chiude i battenti il 30 ottobre, a ricordo si può sfogliare il bel catalogo introdotto da Roberto Balzani. 

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