A Dovadola la seconda mostra del ciclo "Quando l'arte è F.A.T.A"
Inaugura giovedì, alle ore 17.30, all'Oratorio di Sant'Antonio, via Tartagni Marvelli, Dovadola, la seconda mostra del ciclo "Quando l'arte è F.A.T.A. (fuoco, acqua, terra, aria)", voluta dall'associazione "Artisti Dovadolesi", coordinata da Serena Venturelli con il contributo critico di Marisa Zattini, dedicata quest'anno all'acqua. Gli artisti invitati a esporre sono: Paola Babini, Giovanni Lombardini, Stefano Mercatali, Luca Piovaccari e Erich Turroni.
"Le opere, realizzate con rara sensibilità, trattano il tema proposto nei modi più diversi, ma con la consapevolezza che il bene acqua è di fondamentale importanza per la sopravvivenza dell'umanità - afferma il sindaco Gabriele Zelli -. Gli esperti calcolano che la mancanza o carenza di acqua, e di conseguenza la detenzioni delle fonti, determineranno gran parte dei conflitti che avverranno nei prossimi decenni, come se già oggi non ce ne fossero a sufficienza. Con la carenza di acqua il pianeggiante territorio romagnolo ha dovuto sempre combattere".
"Per secoli è stato un problema di straordinaria rilevanza sociale ed economica che solo nei primissimi anni post-unitari fu affrontato con un approccio diverso dal momento in cui le amministrazioni liberali indicarono nella quantità e nella qualità delle acque un aspetto fondamentale della questione sociale - aggiunge il primo cittadino -. Fu così che l'acqua potabile diventò "oggetto di somma premura, non essendo quella di molti pozzi forlivesi, come si legge in una relazione che il medico Decio Valentini presentò al Consiglio Comunale di Forlì, la più pura ed incolume", suggerendo di avviare ogni possibile progetto per risolvere il problema. Già allora l'unica possibilità di soluzione duratura veniva individuata nella necessità di scoprire "una fonte capace" nelle vicine colline dalla quale convogliare l'acqua verso le città in modo continuativo, duraturo e in grado di soddisfare le esigenze dei cittadini".
"Per anni, tuttavia, la mancanza di risorse, nonché di sensibilità da parte della classe dirigente impedirono che l'emergenza idrica fosse affrontata con decisione - continua Zelli -. "Solo nei primi anni '80 dell'Ottocento, ci ricorda lo storico Roberto Balzani nel volume "Un Comune imprenditore - Pubblici servizi, infrastrutture urbane e società a Forlì (1860-1945), Franco Angeli Storia, Milano 1991, tale emergenza sarebbe improvvisamente esplosa, sull'onda di un approccio più serio e rigoroso ai problemi dell'igiene e di un nuovo stile di governo, inaugurato dalle prime amministrazioni democratiche forlivesi". Per qualche decennio si dedicarono risorse e energie al progetto di riattivare l'acquedotto di Traiano fino a quando, sul finire dell'Ottocento, l'idea fu abbandonata perché in un rapporto sulle acque romagnole veniva evidenziato il fondato timore di inquinamento di gran parte dei depositi acquiferi posti immediatamente "al di sotto dello stato vegetale, così come è in genere la posizione di tutti i depositi terrazzati"".
"Anche il mito della perenne salubrità delle fonti scelte dai tecnici imperiali romani risultava così, col contestuale declino del culto romantico della romanità, irrimediabilmente compromesso - prosegue il primo cittadino -. Naturalmente il problema dell'approvvigionamento idrico restava in tutta la sua drammaticità. L'unico pozzo veramente efficiente e al quale i cittadini potevano fare affidamento era quello aperto in piazza Garibaldi (l'attuale piazza Cavour o delle Erbe) nel 1885 - 1886, dopo che si era persa ogni speranza di recuperare l'acquedotto di Traiano. Tale pozzo artesiano restò per quasi venti anni il vero acquedotto di Forlì, mentre i progressi della scienza medica affiancati da nuovi metodi d'indagine della realtà sociale sempre più dimostravano la stretta correlazione fra la qualità della vita, il livello dei servizi offerti dalla pubblica amministrazione e la ciclicità delle epidemie, come ammoniva in una drammatica relazione sulle condizioni igienico-sanitarie alla Giunta Municipale il dottor Colombano Bertaccini verso la fine dell'Ottocento. Fino a quando "una fortunata circostanza, come sostenne il sindaco di Forlì Curzio Casati, il 25 febbraio 1901, durante la seduta del Consiglio Comunale, è venuta a dare un altro indirizzo ai nostri studi; le ricerche di acqua potabile che noi facevamo per favorire l'impianto di un'importante industria (l'Eridania ndr) nel nostro paese, ci hanno portato a conoscere che era vero quello che si supponeva, che cioè esisteva un corso sotterraneo di acque ad una profondità minore di quella del pozzo artesiano di piazza Garibaldi" nella zona di Bussecchio, lungo la strada che attualmente costeggia l'aeroporto in un fondo agricolo di proprietà del Comune. Dopo anni di studi, di ricerche e di tentativi, Forlì compiva un passo decisivo verso la modernizzazione".
"Poco più di un mese dopo, il 30 marzo 1901, l'amministrazione affidava l'incarico di definire il progetto per la realizzazione del primo acquedotto cittadino da Bussecchio fino all'inizio di Borgo Ravaldino dove tutt'ora continua a operare il torrione dell'acquedotto, ricostruito dopo che i tedeschi in ritirata lo fecero saltare come gran parte dei campanili delle chiese e la Torre Civica - ricorda Zelli -. Nel 1905 i lavori furono ultimati e in quello stesso anno l'Acquedotto Comunale iniziò la distribuzione dell'acqua. Sul lato del vecchio torrione che guarda la città fu murata una lapide dettata dall'epigrafista, e noto repubblicano, Pio Squadrani, direttore didattico delle scuole elementari. Si trattava di un vero e proprio manifesto politico molto più efficace di qualsiasi libro o discorso (la lapide è anch'essa andata distrutta con la demolizione del manufatto), che vale la pena riportare perché ancora oggi molti anziani forlivesi ne conoscono il testo a memoria: "Qui / dove piombo straniero e mannaia papale / eran ministri di morte / i partiti popolari / reggendo la cosa pubblica / demolite le medievali barriere daziarie / fecero erigere con le stesse pietre / questo acquario / perché / sul luogo già del terrore / da pura fonte / fluisca in tutti i cittadini / la salute e la vita"".
Conclude il sindaco: "Più o meno le stesse vicende forlivesi sono state vissute dalle altre città romagnole fra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento, fino a quando negli anni '60 la penuria di acqua diventò un problema drammatico per tutta la Romagna. Questa volta non ci si perse nella ricerca dell'acquedotto di Traiano. Si cominciò a ipotizzare la costruzione di una grande diga nella zona di Ridracoli dalla quale prendere l'acqua per dissetare i residenti e i numerosi turisti presenti nei mesi estivi lungo tutta la nostra costa. Anche in questo caso i progetti non viaggiarono spediti ma dal 1989 l'acqua che viene raccolta dalla diga di Ridracoli "fluisce" in tutte le città romagnole e nello Stato di San Marino, risolvendo uno dei più drammatici problemi sociali della storia recente. A tutti noi spetta il compito di salvaguardare quello che è stato realizzato ma soprattutto di non disperdere un grande patrimonio come l'acqua. Anche dalle opere degli artisti che partecipano a questa rassegna si legge questo messaggio e appello. Per questo motivo vanno doppiamente ringraziati".