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Venerdì, 26 Aprile 2024
Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

" Vi racconto la storia del ""Foro di Livio"". Insegno, ma sono anche giornalista. Sono dottore in Giurisprudenza ma anche in Scienze religiose. Osservatore curioso, sono appassionato di storia locale e di musica del Settecento. Ho il vizio di scrivere e pubblicare (con discrezione) saggi, manuali, racconti. Mi occupo anche di birra, ma questa è un'altra storia "

Il Foro di Livio

Donne fuori dai canoni

La curiosa ricerca di una collega riscopre una rivista forlivese, testimonianza del movimento anarchico femminile a inizio Novecento

Nel 1903, alcune attiviste italiane si erano riunite nelle Federazioni femminili regionali e, per dare ampio respiro alle loro rivendicazioni, nel 1904 al Congresso di Berlino fu fondata l’Alleanza femminile per il suffragio. Anche il movimento anarchico, in Romagna fin dal 1872 con la clandestina “Società Internazionale Forlivese” seguiva questa campagna di educazione politica seppur con chiara egemonia maschile. Al mondo poco battuto delle donne anarchiche forlivesi, la docente Paola Bezzi ha dedicato un approfondimento che qui si rielabora solo in forma sintetica. Dal momento che la ricercatrice tiene molto all'argomento, grazie anche al suo professore di storia, Antonino Lacava, sarà sicuramente ben lieta, a chi fosse interessato, di fornire nuove informazioni.

Storie locali ricordano ancora la festa da ballo che nel 1877 era stata organizzata nel palazzo di Carpinello del conte Guarini per mascherare la riunione degli aderenti forlivesi e delle Ville Unite ravennati della setta dell’Internazionale. La svolta marxista di Andrea Costa aveva scompaginato la situazione e solo pochi anarchici intransigenti non avevano aderito alla clandestina Federazione Socialista Forlivese. Quando poi, nel 1882, Andrea Costa era stato eletto deputato nel Collegio di Ravenna e aveva scelto la via legalitaria, giurando fedeltà al Re, si era assistito a un’ulteriore spaccatura all’interno del movimento socialista rivoluzionario. La diatriba era continuata: ne erano stati dimostrazione i piccoli circoli anarchici sorti a Forlì (“I Ribelli”, “La Comune”, “L’Operaio Emancipato”) e la convocazione proprio a Forlì nel 1882 del Congresso anarchico italiano, nel quale i pochi convenuti emiliani, veneti, marchigiani, umbri e toscani avevano confermato la linea antilegalitaria.

Questa linea intransigente vestì abiti femminili solo nel 1912 a Parma e nel 1913 a Forlì, quando fu fondato e diretto un giornale indirizzato alle donne e gestito solo da donne: “La Donna Libertaria. Periodico mensile di educazione del Gruppo Femminile Libertario Maria Rygier”.
Subito l’orientamento fu chiaro: si trattava di “svegliare queste eterne addormentate e guidarle sul campo di lotta”, di combattere l’odio generato dalle disuguaglianze economiche, di annientare “miseria e inganno”, cause della prostituzione, di opporsi alla guerra che “scanna i tuoi figli nei deserti della Libia” per giungere “alla comunione degli uomini tutti…. nobile utopia”. Esse stesse, quindi, si rendevano conto che aspirare al “paradiso” terrestre era un desiderio irrealizzabile, ma da non negare. Dopo il terzo numero, a dicembre 1912, la gestione passò al gruppo forlivese. Amelia Legati aveva scritto: “Cedo ben volentieri "La donna libertaria" alle gentili compagne di Forlì, perché il tempo non mi permette di curarla dovutamente” senza aggiungere spiegazioni. La redazione forlivese, in corso Vittorio Emanuele 40, era diretta da Adele Dervisi, Marzia Rossi e Irma Guidaloni. A esse si aggiunsero firme o pseudonimi come “L'Amica di Tomasina”, “La Parigina”, “L'Amica di Libertad” e “La Marianna Neo-Malthusiana”. L’intento programmatico era sempre lo stesso: “Vittima della società borghese” la donna doveva essere resa “cosciente dei suoi diritti di libera cittadina e partecipare alle lotte civili”.

I toni si fecero veementi e profetici quando indicavano nella “spaventosa fucina di lotte” balcaniche l’avvisaglia di una conflagrazione europea “già minacciosa”, quando esaltavano il movimento operaio turco, formato da 180.000 lavoratori (“Altro che paese barbaro!”), quando definivano la scuola moderna come il luogo della “rigenerazione umana, dove insegnare cos’è la vita, la vera giustizia” e dove apprendere una lingua internazionale neutra, l’IDO. Basata su alfabeto anglo-romano, essa era caratterizzata dall’assenza di segni diacritici per renderne facile la telegrafia, la stampa e la scrittura a macchina e serviva come “grande anello di congiunzione fra tutti i popoli civili”. Questa rivista, se pur collegata con nuclei rivoluzionari esteri ed esempio di capacità intellettuali e pratiche fuori dai canoni, si esaurì nell’indifferenza generale, forse per le “leggi eccezionali” che erano state varate negli anni Novanta dell’Ottocento contro anarchici (e non) romagnoli, considerati ribelli e violenti soprattutto dopo l’attentato a Crispi ad opera del lughese Paolo Lega; o forse perché il gruppo delle redattrici non seppe o non poté portare a termine il processo di emancipazione femminile. Il gerente responsabile del giornale, infatti, era un uomo, Armando Sintoni, e fu lui a doversi presentare in tribunale nel giugno 1913 quando il periodico fu sequestrato “in base all’articolo 247 del codice penale come eccitamento all’odio tra le varie classi sociali”. Sarà condannato a 5 mesi di reclusione e al pagamento di una multa salata: dovrà poi difendersi in altri processi.

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