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Cronaca

La vita ai tempi del Coronavirus - "Nel giorno della mia laurea, ecco tutto quello che avrei voluto e il virus mi ha negato"

"Avrei voluto urlare di gioia, abbracciare di gioia, piangere di gioia, incontrare lo sguardo di chiunque e sentirmi, finalmente, in pace con me stessa"

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Oggi è il giorno “prima di tutto”. Avrò un milione di cose da fare. Dalla torta, ai capelli, al discorso della discussione, al riordino, alla disposizione della stanza che farà da sfondo al mio collegamento e perché no.. Dovrò farmi anche prendere un po' dal panico.

Perché in fondo per oggi avrei voluto un giorno diverso.
Avrei voluto un momento diverso.
Avrei voluto svegliarmi e fare le corse nel prepararmi perché "bisogna che partiamo presto, metti che incontriamo traffico."
Avrei voluto dare un luogo e un orario di incontro a quanti sarebbero venuti.
Avrei voluto guardarli tutti quanti dritti negli occhi.
Coi miei occhi colmi di lacrime (chissà forse per una volta mi sarei lasciata andare). Nei loro occhi fieri e orgogliosi di me.
Avrei voluto abbracciarne qualcuno, baciarne altri.
Perché chi mi conosce sa quanto sono fredda nei gesti di affetto. Ma in quel momento ne avrei avuto bisogno.
Avrei voluto anche rispondere seccata a qualcuno, farmi scappare un tono alto e arrogante. Perché chi mi conosce lo sa, sono anche questo. 
Avrei voluto sdrammatizzare, ironizzare perché infondo mi sarei cagata sotto.
Avrei voluto discutere il mio elaborato di tesi di fronte alla commissione, stringere la mano ad ognuno di loro. Avrei voluto sentire il caldo di una stanza affollata. Avrei voluto sentire la mia voce tremare e diventare sempre più stridula, per la vergogna. E si sa, il microfono non nasconde nulla.
Avrei voluto concludere il discorso e sentire un applauso.
Avrei voluto concludere il discorso e cercare riparo e conforto nelle mie persone.
Sarei voluta uscire dall'aula e poi rientrarci.
Avrei voluto sentire le gambe tremare e il cuore esplodere e avrei voluto accadesse di fronte anche alle mie persone. Tutte.
Avrei voluto sbocciare all'aria aperta. O anche sotto la pioggia. Tanto si sa, nella vita o impari a ballare sotto la pioggia o sei fregato.
Avrei voluto urlare di gioia, abbracciare di gioia, piangere di gioia, incontrare lo sguardo di chiunque e sentirmi, finalmente, in pace con me stessa.
Avrei voluto brindare, bere, ridere, scherzare, giocare e lo avrei voluto fare in un bar, in una piazza, lungo una strada.
A fine mattinata, avrei voluto dire: "ci vediamo stasera". Ritrovare tutte le mie persone e tante altre. Nel posto che avevo scelto per me, ma anche per loro. Con il menù che avevo scelto per me, ma anche per loro. A me, ad esempio, il pesce non piace. Eppure ci sarebbe stato.
Avrei voluto scattare un milione e più di foto. Perché se anche i momenti migliori non hanno foto, quella sarebbe sicuramente stata la giornata migliore. E allora cosa vuoi, non avercela una foto?
Avrei voluto aspettare la mezzanotte perché a quell'ora è il mio compleanno e i 30 anni li compi una volta sola. Come gli altri, del resto. Ma vuoi mettere, i 30?
Io per i miei 30 anni avevo pensato ad una grandissima follia "domenica 29 alle 10.15 volo da Bologna per Ibiza, andiamo a pranzo sul mare, tuffo in acqua se il tempo lo permette, musica e aperitivi tutto il giorno. Poi alle 19.40 volo da Ibiza per Bologna, torniamo a casa che lunedì si lavora."
Avrei voluto sbocciare, brindare, bere e poi ad una certa, ora, perché s'è fatta na certa, me ne sarei voluta andare a letto.
Perché anche le persone più felici al mondo, prima o poi, a letto ci vogliono andare.
Il giorno dopo mi sarei voluta alzare presto, colazione al bar, come piace a me. E poi chissà. Qualcosa avrei fatto. Forse Milano, forse Roma, forse Venezia. Chissà. Non ho avuto tempo di organizzare ma un'idea mi sarebbe sicuramente venuta.
Avrei voluto festeggiare il mio compleanno da qualche parte prima del giorno a Ibiza.
Perché un uragano è così. Non lo fermi. Passa e spazza via tutto quanto. E io avrei voluto fare così. Passare dalla laurea, ai 30 anni, al weekend, al volo a Ibiza spazzando via ogni cosa. Portando via ogni ricordo.

Quindi ecco. Ecco cosa ha  fatto a me il coronavirus. Mi ha tolto ogni singolo Avrei voluto. Per darmi una realtà un pochino più difficile.
Non ci saranno persone. Solo pochi familiari. Non ci saranno luoghi o punti di incontro. Solo casa mia. Non ci saranno rincorse, urla o canzoni. Non ci saranno bar, locali, ristoranti, piazze o vie. Non ci sarà nessuna festa. Solo videochiamate. Non ci sarà nessuna mezzanotte. Non ci sarà nessun weekend. Non ci sarà nessuna giornata a Ibiza. Nessuna corsa contro il tempo. Niente.
Ci sarò io che mi vestiró con le cose comprate insieme a mia madre in tempi non sospetti. Ci sarò io che accenderó il mio PC per collegarmi. Ci sarò io che discuterò e mi laureerò online. E li con me ci saranno mia madre, mio fratello e Veronica. Ci sarà Prince. E ci saranno le mie persone collegate. Distanti. Ma vicine.
Perché in fondo questo virus ci sta insegnando proprio questo: che se prima la tecnologia ci allontanava pur essendo uno accanto all'altro fisicamente. Ora ci da l'opportunità di non mancare. Di starci accanto anche quando avresti voluto che le cose andassero tutte diversamente.


Angie Ludovica Monti Liverani 

La vita ai tempi del Coronavirus - Il diario dei nostri lettori

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