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Cronaca

Vent'anni fa la morte di Annalena Tonelli in Somalia: "Il suo lascito maggiore? L'amore radicale e il dialogo con l'Africa"

Vent'anni fa, il 5 ottobre 2003, moriva a Borama, in una regione separatista della Somalia (il Somaliland) la forlivese Annalena Tonelli, una missionaria cattolica laica che partendo dalla nostra città si spese per 34 anni per l'Africa, prima in Kenya, poi in Somalia

Vent'anni fa, il 5 ottobre 2003, moriva a Borama, in una regione separatista della Somalia (il Somaliland) la forlivese Annalena Tonelli, una missionaria cattolica laica che partendo dalla nostra città si spese per 34 anni per l'Africa, prima in Kenya, poi in Somalia. Aveva 61 anni quando una sera, al rientro dopo la visita serale agli ammalati, venne uccisa da due sicari con un colpo alla nuca.

Pochi mesi prima fu insignita dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati del prestigioso premio Nansen per l'assistenza ai profughi (Nansen Refugee Award), il 25 giugno 2003. Una sorta - potremmo dire semplificando - di un 'premio Nobel' per l'assistenza agli ultimi. Non era avvezza ai premi e alle cerimonie, ma quello dell'Onu lo volle ritirare nella speranza di attirare l'attenzione sulle sempre più misere condizioni dei reietti in Africa, dai malati di tubercolosi a quelli di Aids, dai sordi ai mutilati.

Nel ventennale della morte abbiamo sentito il nipote Andrea Saletti, volontario del “Comitato per la lotta contro la fame nel mondo” di Forlì, l'associazione che compie quest'anno 60 anni è che resta il soggetto che ha raccolto le redine di Annalena Tonelli dopo la sua morte. 

Saletti, a 20 anni dalla morte, ci può fare un bilancio del lascito delle opere di Annalena Tonelli?
"Partendo da Wajir, in Kenya, ci sono ancora il suo centro di riabilitazione e l'eremo che fece costruire, dove poi sono state sparse le sue ceneri. Il centro è in funzione, gestito da un manipolo di suore camilliane, che abbiamo visitato nel 2019 e con cui siamo in costante contatto. C'è anche una piccola scuola. Non ci sono più i numeri giganteschi che queste strutture avevano sotto la gestione di Annalena, ma non hanno importanza i numeri. Le suore mettono tutta la loro cura e passione in un posto molto difficile. Si pensi che nel villaggio il centro viene ancora chiamato 'Annalena', e da lì Annalena se n'è andata nel 1987. Molti suoi “figli” di allora sono ancora lì, impegnati nel mondo educativo". 

E a Borama, nel Somaliland, dove prestò la sua opera negli ultimi anni e dove trovò la morte?
"Come Comitato in passato abbiamo aiutato la scuola per sordi, che ora è passata sotto la gestione del governo. Ci dicono che hanno pochi fondi, ma siamo in collegamento con loro per capire come aiutarli. Non abbiamo un riferimento diretto sul territorio, ma ci andremo, ci hanno invitato tante volte. Per Annalena qui sta avvenendo una cosa che non ci aspettavamo, penso un caso molto raro nel mondo musulmano: verrà ricordata una donna cristiana e sarà celebrato il 5 ottobre il ventennale della sua morte. In totale autonomia, in gran parte i sordi che Annalena ha avuto in cura ci hanno avvisato che volevano ricordare la loro “mamma”, come la chiamavano in somalo. Questo dice tutto sull'eredità lasciata: il dialogo costruito con la vita vissuta con loro. 

Sono passati 20 anni, si rischia che si affievolisca il suo ricordo nei più giovani?
“Noi andiamo nelle scuole a presentare la sua figura, ma evitando che sia rappresentata come una figura che faccia paura per quello che faceva lei rispetto alla nostra vita. Cerchiamo di spiegare la profondità del suo messaggio: l'amore radicale che ha vissuto lei e che possiamo vivere anche noi nella nostra quotidianità. Annalena non va alzata, ma va abbassata per far sentire ai giovani il suo spirito di fuoco, era una che alla loro età andava nei luoghi malfamati di Forlì per prestare assistenza. Proviamo ad accendere scintille, che poi è risvegliare delle vocazioni che ognuno di noi ha dentro”.

Viene ricordata a Forlì e nei posti che ha amato in Africa, o anche altrove?
“No, ci arrivano tanti messaggi dagli Stati Uniti, dal Regno Unito e da tutto il mondo, dove ci sono le persone che lei ha cresciuto, o dal suo staff che ha lavorato con lei. Ci scrivono senza tante parole, solo per dire 'grazie' a una persona che non c'è più e per testimoniare che oggi loro ci sono perché lei è stata con loro”. 

Oggi si parla di Africa con un dibattito schiacciato solo sul tema dell'immigrazione. L'Africa di oggi è diversa dall'Africa conosciuta dalla Tonelli fino a 20 anni fa?
“Non so dire se sia un'Africa peggiore o migliore. Lei diceva sempre, fin dal primo anno che era lì, nel 1969, che il problema dell'Africa è l'assenza di amore. Che è una frase che colpisce, perché l'Africa ha carestie, guerre, malattie come problemi. Diceva che queste persone sono state schiacciate culturalmente dall'assenza di amore. Quella di oggi è una linea continua con l'Africa conosciuta da Annalena. Oggi forse si aggiunge il grande dramma che molti scappano da condizioni climatiche peggiorate. Anche dove ha operato Annalena il clima è peggiorato, ci sono più carestie seguite da enormi inondazioni. E teniamo presente che qui in Italia non arriva neanche l'immigrazione dal Corno d'Africa”. 

Se fosse viva Annalena Tonelli oggi sarebbe un'anziana signora di oltre ottant'anni. Che persona sarebbe?
“Sarebbe una che non parlerebbe molto. Sarebbe ancora sul campo se il fisico glielo avrebbe consentito, oppure sarebbe in un eremo, in un luogo silenzioso dove lei agognava stare. La sua vita è sempre stata una lotta tra azione e contemplazione”.

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