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78 anni fa il bombardamento tedesco di San Biagio: Forlì perse la Cappella Feo e gli affreschi del Melozzo

10 dicembre 1944, ore 17.15: una bomba ad altissimo potenziale sganciata da un aereo tedesco, cancella per sempre la basilica quattrocentesca di San Biagio in San Girolamo e 19 povere vite

Quel tardo pomeriggio del 10 dicembre 1944, Forlì era già libera da un mese e un giorno. La città, condotta anche amministrativamente dal Comando militare alleato, si sentiva fuori dalla guerra e molti abitanti stavano rientrando dai luoghi in cui erano sfollati dopo i primi bombardamenti, nel maggio di quell’anno. Nessuno avrebbe mai pensato di poter perdere altre vite e un gioiello storico-artistico del calibro di San Biagio.

“Alle 17,15 precise – scrive il bibliotecario comunale Antonio Mambelli nei suoi Diari - alcuni aerei tedeschi comparsi improvvisamente su Forlì, sganciano quattro bombe ad alto potenziale”. Uno degli ordigni sbaglia l’obiettivo prefissato, la ghiacciaia Monti nell’area di Santa Chiara, convertita dagli Alleati in deposito logistico, e centra in pieno la quattrocentesca chiesa di San Biagio, che crolla interamente travolgendo 19 persone, fra cui tre bimbi, un’anziana monaca clarissa, suor Giovanna, e un sacerdote salesiano, don Agostino Desirello. Il presbitero aveva appena detto messa, l’ultima della sua vita.

Di nuovo Antonio Mambelli: “Dalle 17.30 alle 2.30 i soldati inglesi, affiancati dai pompieri, scavano fra le macerie per estrarre eventuali superstiti. Si salvano Giorgina Aguzzoni e Antonietta Ghini”. Niente da fare, invece, per la figlioletta della prima, Liliana di 5 anni, ritrovata agonizzante fra le braccia della madre, né per il salesiano, il cui cadavere riaffiora solo cinque giorni dopo. La forza devastante dell’ordigno cancella anche ogni traccia di un capolavoro che tutti ci invidiavano: il ciclo pittorico su Iacopo Feo della Cappella San Giacomo, affrescata a quattro mani da Melozzo da Forlì e Marco Palmezzano per ordine di Caterina Sforza. La “Lady di Ferro” aveva voluto così onorare il suo amante-stalliere, sposato in gran segreto per non perdere potere sulla città, rimasto ucciso nel 1495 in una congiura subita all’altezza del Ponte dei Morattini e qui sepolto. Quegli affreschi erano stati immortalati dagli obiettivi dello Studio Alinari nel 1938, in occasione della prima grande mostra su Melozzo da Forlì, inaugurata dal re d’Italia Vittorio Emanuele III. Sempre quel tragico giorno, la Lutwaffe tedesca colpì duramente anche la zona di Corso Diaz all’altezza dell’attuale Teatro Diego Fabbri.

Obiettivo delle bombe era Palazzo Merenda, che ospitava il quartiere generale degli alleati: “Vennero distrutti i palazzi Albicini e Dall’Aste Brandolini – scrivono Marco Viroli e Gabriele Zelli nel libro “I giorni che sconvolsero Forlì” - e fu fortemente danneggiato Palazzo Prati Savorelli, provocando danni gravissimi e irreparabili alla preziosa collezione di dipinti pregiati, ai cristalli, alle ceramiche e ai mobili in stile Luigi XV in esso custoditi. Furono ben 192 i quadri della Quadreria Prati annientati da quel bombardamento”. Dalle macerie di Palazzo Dall’Aste si salvò una ricca collezione di stampe d’epoca solo perché precedentemente affidata agli Istituti Culturali forlivesi, dove sono tuttora conservati. Nella nuova chiesa di San Biagio, ricostruita nel 1952, sono visibili le poche opere d’arte scampate al bombardamento dell’antica basilica: il Trittico di Marco Palmezzano con la Madonna in Trono e Santi, una preziosa acquasantiera in marmo bianco e l’Immacolata Concezione di Guido Reni. Salvo per miracolo anche il sepolcro in marmo di Barbara Manfredi, restaurato da Ottorino Nonfarmale e nel dopoguerra ricollocato nell’abbazia di San Mercuriale. Una lastra di marmo affissa in piazzetta Garbin sul muro del monastero delle Clarisse, ricorda alle giovani generazioni quel tragico tributo d’arte e di sangue pagato dai forlivesi alla follia della guerra. 

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