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Effetto pandemia e non solo, "nuove generazioni più fragili. Crescono i disturbi mentali. Occorre puntare sulla prevenzione"

L'APPROFONDIMENTO - Approfondimento con Michele Sanza, direttore del Dipartimento di salute Mentale e Dipendenze Patologiche Forlì-Cesena dell'Ausl Romagna

Secondo i dati diffusi dall'Unicef, nel mondo un adolescente su sette, tra i 10 e i 19 anni, convive con un disturbo mentale diagnosticato. Ansia e depressione rappresentano "il 40%" di questi. E non c'è dubbio che la pandemia e le misure di contenimento del virus hanno mutato fortemente gli equilibri e le routine di tutti i cittadini, con i più giovani a subire gli effetti peggiori, come certificato nel report "Health at a Glance: Europe", nato dalla collaborazione tra l’Ocse e la Commissione europea. E anche nel nostro territorio, spiega Michele Sanza, direttore del Dipartimento di salute Mentale e Dipendenze Patologiche Forlì-Cesena dell'Ausl Romagna, "si è avuto un incremento della domanda di cura per problematiche di tipo psicopatologico e comportamentale riguardante gli adolescenti e i giovani adulti. Bisogna osservare, però, che la pandemia non ha fatto altro che accentuare una curva di tendenza presente già da molti anni che però, appunto, a seguito delle conseguenze pandemiche, ha subito un'ulteriore accentuazione ed accelerazione. Si tratta soprattutto di problematiche riguardanti la disregolazione delle emozioni di comportamenti impulsivi, di disturbi dell'umore, come ansia e depressione, di abuso di sostanze legali o illegali". 

Dottor Sanza, qual è la fascia d'età più colpita?
"Certamente quella dell'adolescenza e quindi con un'età compresa tra gli 11 e 16 anni. Ma ciò che rileva riscontrare è il costante abbassamento dell'età per le prime manifestazioni psicopatologiche e la richiesta di assistenza ai servizi per tali problemi". 

Ne soffrono più i maschi o le femmine?
"L'utenza dei servizi di neuropsichiatria infantile del nostro territorio è costituita per circa il 60% da maschi, ma se guardiamo alla popolazione della fascia adolescente con disturbi psicopatologici, le differenze quantitative tra i due generi sono irrilevanti".

Quali sono i fattori scatenanti?
"Forse più che di fattori scatenanti dovremmo parlare di fattori di rischio.

Cioè?
"L'adolescenza è di per sé un'età di passaggio, dove i ragazzi sperimentano una nuova dimensione del proprio corpo e della vita sociale nonché della relazione con gli adulti. E’ di per sé una fase delicata, ma questo non vuole assolutamente dire che sia una patologia. Al contrario è una delle fasi più ricche e creative che affrontiamo nell'arco vitale, ma nel corso della quale i soggetti più vulnerabili possono incontrare notevoli difficoltà nel gestire le proprie emozioni, le relazioni con i coetanei e il rapporto con il proprio corpo. A rendere un'adolescente più vulnerabile rispetto agli altri, e qui parliamo dei fattori di rischio, concorrono fattori biologici, come la genetica, e fattori ambientali come le caratteristiche della famiglia, e soprattutto il grado di sicurezza e di autonomia che essa ha potuto trasmettere. E poi ci sono i fattori stressanti che possono essere i detonatori di una crisi, tra questi individuiamo il bullismo, i lutti, gli abbandoni sentimentali, ambienti particolarmente competitivi ispirati da modelli di perfezionismo e non sono alla portata di tutti".

Sono emersi casi di improvvisa interruzione alla vita scolastica e sociale?
"Sì, certo. Sono i fenomeni di ritiro, individuati spesso con la denominazione di sindrome di Hikikomori perché descritta per la prima volta in Giappone. Il ritiro consiste in un'esclusione volontaria dai rapporti sociali diretti e dalla frequentazione della scuola, che spesso lascia indisturbata la sfera dei social e che finiscono per costituire l'ultimo legame concreto con il mondo esterno. Vi sono poi forme meno estreme di ritiro, che sono anche le più frequenti, e che generalmente sono determinate da manifestazioni di ansia sociale che rendono difficile la partecipazione alle lezioni in classe e riducono la quantità e la qualità dei rapporti interpersonali portando i ragazzo a mantenere poche relazioni esclusive".

Si è registrato un aumento di richieste di aiuto agli sportelli di supporto psicologico?
"Se ci riferiamo alle richieste di aiuto rivolte degli sportelli psicologici delle scuole la risposta è positiva. Certamente vi è stato un incremento della domanda di aiuto. Ma è difficile fornire una proporzione e soprattutto stabilire una corrispondenza con i contorni reali dei problemi, in quanto alcuni si rivolgono ai servizi pubblici, altri al privato e tanti altri non esprimono questa domanda di richiesta di aiuto".

A Forlì come ci è organizzati?
"Esiste da molti anni un bellissimo progetto di prevenzione della psicopatologia rivolto agli adolescenti che si chiama "Acchiappasogni". Oggi abbiamo bisogno di potenziarne l'attività estendendo l'offerta, oltre i colloqui di individuali di psicoterapia, ai gruppi di skills training e ai gruppi di psicoeducazione rivolti ai familiari. Sono attività che in gran parte già si svolgono all'interno dei servizi del dipartimento di salute mentale e dipendenze patologiche, ma che vogliamo rafforzare e far convergere nei luoghi dell’"Acchiappasogni" per superare le difficoltà dello stigma e le resistenze che spesso si incontrano nel rivolgersi direttamente ai servizi di neuropsichiatria infantile, al centro di salute mentale o al servizio per le dipendenze patologia. Il coordinamento tra questi tre servizi è fondamentale perché spesso le problematiche sono problematiche miste, e tante volte si protraggono oltre la soglia dell'età minore proiettandosi sull'età adulta ed vi è quindi bisogno di governare il processo di transizione. Abbiamo poi una rete estesa e diffusa degli interventi di prevenzione svolti in particolare dall'unità operativa dipendenza patologiche, all'interno delle scuole e interventi della neuropsichiatria infantile coordinati con la rete degli sportelli psicologici scolastici". 

Qual è il giudizio di chi usufruisce di questi servizi?
"E’ una domanda che preferirei venisse rivolta agli utilizzatori dei nostri servizi. Posso soltanto affermare che molte associazioni di volontariato riconoscono l'incremento dell'impegno della nostra azienda nell'affrontare le problematiche di salute mentale degli adolescenti e dei giovani".

Quanto può durare mediamente un trattamento terapeutico?
"Non c'è un periodo standard. E' ovvio che la durata del trattamento dipende dalla problematica, non di rado gli interventi brevi sono risolutivi proprio perché l'adolescenza è un periodo di grande effervescenza durante la quale possono manifestarsi crisi molto intense che, se poggiano su di una base di personalità sana, sono destinate a risolversi anche grazie a brevi interventi di consultazione. Nei casi più problematici la presa in carico copre un orizzonte temporale più lungo e non di rado richiede il passaggio all'equipe degli adulti".

Teme che nei mesi e gli anni a venire la domanda di cure mentali da parte dei giovani possa aumentare?
"La richiesta di cure per i disturbi mentali è destinata ad aumentare. Non è un mio giudizio personale, ma è ciò che prevedono l'organizzazione mondiale della sanità e l’Ocse. Gli attuali scenari epidemiologici ci consegnano generazioni più fragili dal punto di vista nell'assetto di personalità e quindi più esposte ai disturbi dell'umore e a quelli della regolazione delle emozioni".

Cosa occorre fare per cercare di arginare questo problema?
"Dal mio punto di vista è necessario potenziare i servizi. Ricordo che la spesa per la salute mentale nel nostro Paese è assolutamente insufficiente e distante dagli standard delle altre nazioni europee, ma soprattutto occorre puntare sulla prevenzione. Occorrono politiche di salute mentale che non possono limitarsi alla gestione delle cure, ma toccare anche fattori fondamentali per lo sviluppo armonico della personalità come l'accesso all'istruzione, l'integrazione degli immigrati che costituiscono il 10% della popolazione, la cura e la salvaguardia dell'ambiente sia negli aspetti ecologici che in quelli urbanistici. Non certamente per ultime vengono le politiche sociali; la povertà è riconosciuta come uno dei principali fattori di rischio per i disturbi mentali dell'organizzazione mondiale della sanità. Garantire sicurezza alle famiglie fragili colpite dall'incremento del costo della vita e un contributo indispensabile alla prevenzione della disabilità psichica". 
 

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