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Cronaca

Una veglia missionaria nel ricordo di Annalena Tonelli a 19 anni dalla barbara uccisione in Somalia

Annalena Tonelli ricevette il “Nansen Award” dell’Alto Commissariato per i Rifugiati

Sarà il vescovo di Forlì-Bertinoro monsignor Livio Corazza a presiedere, mercoledì 5 ottobre, alle 20.30, in Cattedrale, la Veglia Missionaria nel ricordo di Annalena Tonelli a 19 anni dalla barbara uccisione in Somalia. All’evento religioso prenderà parte mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio. E mentre nella sua Forlì si susseguono le note di autorità e organizzazioni del privato sociale in ricordo della coraggiosa volontaria, che ha pagato con la vita la inarrivabile “passione” per i somali, i “paria” del mondo, riemergono anche le emozioni vissute il 25 giugno 2003 in Svizzera nel giorno della sua premiazione: “Accetto solo per dare voce a chi non ha voce”. Con queste parole, pronunciate nell’austero salone del Museo “Ariana” di Ginevra, Annalena Tonelli riceve il “Nansen Award” dell’Alto Commissariato per i Rifugiati.

La forlivese, missionaria nel Corno d’Africa dal 1969, viene gratificata per il grande impegno umanitario in favore delle decine di migliaia di profughi somali, sfuggiti al coacervo di carestie e lotte tribali che insanguinavano (e insanguinano tuttora) paesi come Sudan, Eritrea, Somalia, Kenya ed Etiopia. Ma era evidente il suo disagio, un premio internazionale proprio a lei, donna schiva che faceva grandi cose lontana dai riflettori. Prima di Annalena avevano ricevuto il “Nansen” personalità del calibro di Eleanor Roosvelt, Medici senza frontiere e Luciano Pavarotti. “Appena ho saputo del premio – dichiarò nel corso della breve ma suggestiva cerimonia di consegna – la mia prima reazione fu quella di rifiutarlo. La mia scelta era quella di una vita nascosta, ho vissuto in mezzo a guerre, sono stata testimone di guerre, di carestie devastanti, di popolazioni colpite dalla fame, di gente perseguitata, vittime di ingiustizie, di sfruttamento, di violazione dei diritti umani, di genocidi. Ho pensato, ho sentito che non sarei mai più stata capace di sorridere nella mia vita, se fossi sopravvissuta a queste catastrofi. Ma poi… le necessità dei somali e la mia invincibile fiducia nell’umanità, la mia irremovibile speranza che uomini e donne di buona volontà da tutti gli angoli della terra, uomini e donne come voi e me, che hanno avuto opportunità di vivere una vita degna di essere vissuta, si decidessero a lottare per coloro che misteriosamente non hanno avuto questa possibilità, hanno dato e donato a me e a migliaia di persone come me, come voi, la forza e la fiducia di continuare a lottare per la liberazione di quella parte di umanità che è svantaggiata, diminuita, ferita, privata di tutto”.

Cinque giorni dopo Annalena torna per l’ultima volta a Forlì, la sua città natale, per testimoniare nella sala Auditorium Carisp gremito all’inverosimile, lo sconfinato amore per i brandelli di umanità ferita abbracciati 35 anni prima in uno dei luoghi più ostili del pianeta. “Rimarrò con i miei fratelli somali finché sarò in grado di aiutarli. Non conosco altro modo per gridare il Vangelo con la vita”. Il 5 ottobre di quello stesso anno perde la vita a Borama, assassinata da un commando islamista. “Io – scrive nel 1971 – sto vivendo la vita più bella del mondo perché l’ho scelta io”. Nel 2003, poco prima di morire, aveva denunciato lei stessa le pressioni cui era sottoposta “Da tempo i potenti della zona vogliono impossessarsi degli aiuti che gestisco per gli ammalati e sono infastiditi dalla cura che offro ai malati di Aids”. Dal 2003 i resti mortali della missionaria forlivese giacciono a Wajir, in Kenya, la località del Corno d’Africa da cui partì quella missione di pace e condivisione che continua ad affascinare il mondo.

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