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Cronaca

"La vita è una cosa buona. Vale la pena stare al mondo. C’è sempre per tutti qualcosa da ricevere e da donare"

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di ForlìToday

"Per cosa sarà ricordato questo inizio millennio è difficile dirlo. Guerra, morte e pestilenza sono sotto i nostri occhi. Si dirà: a ben vedere, è questa la Storia umana attraverso i secoli. Dov’è la novità? La novità è che alle “macro tragedie” che accompagnano il nostro vivere in una casa comune sempre più rancorosa e conflittuale, abbiamo aggiunto le “micro tragedie” (si fa per dire) di un’epoca “asociale” o “social”, in cui le verità di una relazione si misurano in like, le “storie” di ciascuno sono ridotte a scatti fotografici, dove tutto è fintamente democratico e tutti parlano di tutto senza assumersi la responsabilità di niente. La confortante leggerezza del “non essere”. È un tempo in cui un qualsiasi sprovveduto si sente da Vinci, in cui l’“ostentazione” di corpi e anime è chiamata libertà, in cui l’amor proprio, il semplice rispetto per sé stessi e figuriamoci quello per gli altri non hanno dimora. Un’epoca “maleducata” dove una ragazza è una preda e una moglie, una compagna, una proprietà del maschio padrone che può disporne sino alla morte. 

Sono state scosse le stesse fondamenta dell’essere “comunità”: questo il punto. Il pilastro educativo scricchiola pericolosamente. Certo saranno molte le ragioni e molte di più le analisi e le spiegazioni possibili, ma un’impressione prevale: all’origine di ciò che chiamiamo “crisi educativa” sembra ci sia soprattutto una crisi di fiducia nella vita; una carenza di speranza e di volontà di futuro, una incapacità di formare gli esseri umani al loro nascere, crescere e invecchiare. Tutto ciò denota un tratto tipico della nostra società, in cui domina il relativismo. La situazione si riflette in particolare a livello giovanile, dove la mancanza di senso rende problematica la maturazione di un progetto di vita e crea un sentimento di grave disagio esistenziale. In questo contesto, la domanda sociale – più semplicemente ciò che vediamo intorno a noi – sembra privilegiare una visione strumentale e di breve termine dell’educazione, quando invece l’educazione è per sua natura un investimento di lunga (e difficilmente prevedibile) durata.

Essere un genitore, come essere un insegnante, un educatore, comporta una rinnovata consapevolezza di ciò che questi ruoli hanno significato fin dall’alba dei tempi. Innanzitutto, un’assunzione di responsabilità. A casa, a scuola, in palestra, in parrocchia o in piazza, educare è introdurre nella realtà; ma la realtà è percepibile se ha una sua unità e solidità; se i ruoli nella commedia della vita sono certi e non interscambiabili, limpidi e non sfumati. Poter percepire la realtà nella sua unità permette di riconoscere che la vita è una cosa buona, che vale la pena stare al mondo, che c’è un posto per ciascuno di noi, che c’è sempre per tutti qualcosa da ricevere e da donare". 

Edoardo Russo

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