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"Benedetta ci ha insegnato che è possibile superare ogni barriera"

Nata a Dovadola l’8 agosto 1936 da Guido ed Elsa Giammarchi, nel novembre dello stesso anno venne colpita da poliomielite

E' stato celebrato sabato l’86° anniversario della nascita di Benedetta Bianchi Porro, anche con la liturgia eucaristica presieduta da mons. Giuseppe Zenti, amministratore apostolico della diocesi di Verona, insieme al vescovo Livio Corazza. Le funzioni sono proseguite domenica con la messa presieduta dal parroco di Dovadola, don Giovanni Amati, mentre lunedì, alle 20.30, ci sarà la recita del rosario alla sua tomba. A poche settimane dal terzo anniversario della sua beatificazione, avvenuta il 14 settembre 2019 nel Duomo di Forlì, continua il lavoro per far conoscere la sua testimonianza svolto dalla sorella Emanuela (cell. 335.6779019), dall’Associazione per Benedetta Bianchi Porro, di cui è presidente Franco Scaccini e dalla Fondazione Benedetta Bianchi Porro guidata da mons. Pietro Fabbri, vicario generale emerito della diocesi di Forlì-Bertinoro. Nel frattempo sono operativi il nuovo sito internet (www.beatabenedetta.org) e le pagine Facebook (Beata Benedetta Bianchi Porro) e Instagram (beata_benedetta_bianchi_porro).

Nata a Dovadola l’8 agosto 1936 da Guido ed Elsa Giammarchi, nel novembre dello stesso anno venne colpita da poliomielite e progressivamente si manifestarono i sintomi della neurofibromatosi, la malattia che lei stessa, studente in medicina, diagnosticò nel 1956. “La Madonna – scrisse dopo i pellegrinaggi a Lourdes nel 1962 e 1963 -  mi ha ripagato di quello che non possiedo più. Ho capito che mi è stato ridato quello che mi era stato tolto, perché possiedo la ricchezza di spirito. Io mi sono accorta più che mai della ricchezza del mio stato e non desidero altro che conservarlo”. Benedetta morì, a 27 anni, il 23 gennaio 1964 a Sirmione, sussurrando “grazie”. “È stata una giovane donna che ha amato il Signore – ha detto di lei il vescovo Corazza nel giorno della beatificazione - di fronte alla sofferenza e a una malattia che non dava scampo, non si è disperata e non si è inacidita. Non ha chiuso gli occhi e non si è nemmeno illusa. Ma si è affidata al Signore, con fiducia e riconoscenza”.

La gran parte delle persone stava peggio di lei: “Benedetta non si è ripiegata su se stessa, ma confortava gli altri. Ella incoraggia gli ammalati a trovare un senso profondo nella loro esistenza, che diventi vera testimonianza anche nella sofferenza, e sostenga coloro che li assistono o fanno loro visita, suggerendo parole di conforto credibile, non parole vuote di circostanza che fanno più male che bene”. Converta la società tutta, troppo spesso tentata di vedere nella malattia un ostacolo ad una vita vissuta in pienezza di umanità. “Accogliamo l’invito di Papa Francesco ad accorgerci dei santi della porta accanto. Benedetta ci ha insegnato che invece è possibile superare ogni ostacolo e barriera”. Dal 22 marzo 1969 è sepolta alla Badia di Dovadola.

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