rotate-mobile
Salute

La salute del cuore, Forlì eccellenza per la diagnosi e cura di una patologia rara: "Infarti in calo grazie alla prevenzione"

L'INTERVISTA - Approfondimento con Marcello Galvani, direttore dell'Unità Operativa di Cardiologia dell'ospedale “Morgagni-Pierantoni” di Forlì

Marcello Galvani, direttore dell'Unità Operativa di Cardiologia dell'ospedale “Morgagni-Pierantoni” di Forlì, è stato nominato alla guida del Dipartimento di Emergenza, Internistico e Cardiologico dell'Ausl Romagna ambito Forlì e Cesena. “Si tratta di un dipartimento finalizzato a garantire al cittadino un percorso dall'urgenza territoriale all’assistenza ospedaliera il più rapido ed efficiente possibile, per poi creare un collegamento con l'assistenza territoriale per proseguire la cura a domicilio”. Tra gli obiettivi quello di migliorare l'integrazione tra le unità operative dell'ospedale di Forlì e il “Bufalini” di Cesena: “La nostra Ausl Romagna risente ancora di una storia sanitaria differente nei vari territori. I nostri due ospedali hanno delle procedure ed approcci in comune, ma c'è ancora molto da fare per rendere omogenee le modalità di presa in carico e cura del paziente al fine di rendere il risultato il più possibile standardizzato e certo”.

Come si è evoluta negli ultimi anni l'Unità operativa di Cardiologia?
Il lavoro che abbiamo fatto è stato rivolto su diversi fronti. Da un lato la cura per i pazienti acuti, l'emodinamica di riferimento della provincia e il trattamento dell'infarto miocardico acuto, dall'altro percorsi di presa in carico dedicati alle problematiche più comuni ed importanti. Parliamo di vari ambulatori che seguono pazienti affetti da scompenso cardiaco, problematiche di aritmia, malattie valvolari, l'ambulatorio per pazienti pediatrici ed infine l'ambulatorio dedicato ai pazienti dimessi e che hanno dovuto fare fronte ad un problema coronarico acuto e che vengono presi in carico al fine di ottimizzare la cura. Ora siamo il centro riconosciuto della Romagna per la diagnosi e cura della amiloidosi cardiaca, una patologia rara che sta vedendo prospettive terapeutiche importanti.

Di che cosa si tratta?
Della diposizione nel cuore di una proteina anomala, la transtiretina, in alcune condizioni per carattere ereditario-genetico, in altre semplicemente legate a fenomeni di invecchiamento, più raramente per alterazioni ematologiche simili al mieloma Si deposita in forma disgregata, formando dei micro cristalli all’interno dell muscolo cardiaco, rendendolo rigido e quindi incapace di svolgere la sua funzione.

Quanti pazienti colpiti da infarto vengono presi in cura?
La cosa importante da sottolineare è che i casi d'infarto in Italia negli ultimi dieci anni sono calati del 40%, il tutto per effetto della strategia di prevenzione che ormai fa parte della cultura dei nostri cittadini. I pazienti nella nostra provincia che necessitano di un intervento di apertura della coronaria, cioè della cosiddetta angioplastica primaria, sono circa 200 all'anno. Sono molto più numerose le persone che hanno forme di infarto meno gravi, circa 600 all'anno.

L'età media?
Parliamo di 68-69 anni per chi necessita di un intervento immediato, mentre gli altri tipi di infarto si verificano molto più frequentemente in soggetti più anziani, con un'età media intorno ai 75 anni.

Si sono così ridotti nel corso degli anni gli interventi complessi...
Sì, assolutamente. Si è ridotto anche il numero di infarti che presentano il quadro peggiore, cioè con un shock e riduzione critica della funzione di pompa del cuore da compromettere l'ossigenazione dei principali organi.

Quanti pazienti con shock cardiogeno assistete all'anno?
Non più di venti-trenta all'anno. I casi più gravi sono circa il 10-15% sul totale degli infartuati.

E ci sono novità sul fronte interventistico?
Sono disponibili tecniche di supporto meccanico alla funzione cardiaca sempre più avanzate. Speriamo di entrarne presto in possesso.

Qual è il percorso terapeutico che segue all’angioplastica “primaria”?
Il paziente resta in terapia intensiva per 24 ore. Nei tre-quattro giorni successivi, in caso di necessità, si provvede a fare angioplastica anche di altri rami coronarici gravemente ristretti. Ma l'obiettivo è riuscire a dimettere il paziente dopo cinque giorni. Si tratta di tempi brevi, perchè il risultato della riapertura della coronaria è in grado di limitare la dimensione dell'infarto in modo importante, tanto che il paziente spesso non si accorge di averlo avuto. Durante il periodo di ricovero cerchiamo di rendere il più familiare possibile l'ambiente e di questo ringrazio moltissimo i miei collaboratori medici e il personale infermieristico e sanitario per la qualità delle relazioni umane che sono in grado di stabilire con i cittadini.

Quali stili di vita si devono adottare dopo il periodo ospedaliero?
Al momento della dimissione c'è un colloquio gestito da personale infermieristico, con spiegazione dei comportamenti da tenere nel periodo immediatamente successivo alla degenza. Segue poi dopo un mese un controllo in ambulatorio, per verificare l'adeguatezza della cura farmacologica e soprattutto l'aderenza del paziente alla stessa.

E a livello di alimentazione?
Bisogna seguire una sana dieta mediterranea.

Quali sono i segnali a cui prestare attenzione?
Prevedere l'infarto è veramente molto difficile. Il sintomo da prestare attenzione è il dolore al petto, l'estensione al braccio sinistro. Se persiste per alcuni minuti occorre chiamare il 118.

E cosa fare per prevenire?
Astenersi dal fumo e fare esercizio fisico. Trenta minuti di passeggiata a passo svelto, o altre forme di esercizio fisico, ma non in forma estrema, ha un effetto di riduzione della probabilità di eventi cardiovascolari, che è paragonabile a quello di trattamenti più intensi di abbassamento del colesterolo e della cura della pressione. Insomma, a costo zero, senza effetti collaterali, si sta meglio se ci si muove rispetto a quando si ha una vita sedentaria.

Prima abbiamo parlato di un importante calo del numero di infarti. Ma questo dato importante è stato tuttavia 'macchiato' nel periodo della pandemia...
Durante il lockdown c'è stata una drastica riduzione del numero di persone con infarto che si presentavano all'ospedale, che è andato di pari passo con un aumento di decessi improvvisi a domicilio. Tra marzo ed una parte di maggio del 2020 in tanti avevano rinunciato a recarsi al pronto soccorso per il rischio covid. Passato quel periodo progressivamente tutto è tornato come prima, col numero di infarti tornato a quello pre-pandemia.

Il virus accentua patologie cardiovascolari?
Che il Sars-Cov-2 colpisca il cuore è stato riconosciuto fin dall'inizio dell'epidemia. Dopo due anni di esperienza possiamo dire che danni diretti, come ad esempio le infiammazioni del muscolo del cuore, le cosiddette miocarditi, sono assolutamente rare, ma c'è sicuramente un aumento delle trombosi venose ed embolie polmonari. Le trombosi arteriose non sono invece cresciute. Gli infarti che ci sono stati sono riconducibili all’insufficienza respiratoria causata dalla polmonite interstiziale, svelando situazioni di malattie coronariche sottostanti.

Come evolverà la prevenzione terapeutica alle malattie cardiovascolari?
Ci sono diversi farmaci all'orizzonte, che potenzieranno l'effetto di medicinali che agiscono contro la trombosi coronarica e che possono inibire ulteriormente l'attività delle piastrine o modulare il sistema anticoagulante. Inoltre immunoterapie con anticorpi monoclonali diretti contro ricettori cellulari coinvolti nella sintesi del colesterolo, che possono essere somministrati con iniezioni sottocutanee una o due volte all'anno, semplificando enormemente le cure. Il progresso è evidente.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

La salute del cuore, Forlì eccellenza per la diagnosi e cura di una patologia rara: "Infarti in calo grazie alla prevenzione"

ForlìToday è in caricamento