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Cronaca

Rischia frustate e pene corporali nel suo Paese, odissea giudiziaria per una giovane islamica

Nel Paese da cui proviene le punizioni previste dal diritto di famiglia per le donne sono corporali, quantomeno eseguite con le frustate

Le lungaggini della giustizia italiana, che si sommano al diritto di famiglia islamico, rischiano di mettere a repentaglio l’incolumità di una giovane araba di 26 anni, dal momento che nel Paese da cui proviene le punizioni per le donne sono corporali, quantomeno eseguite con le frustate. La giovane risiedeva a Forlì alcuni anni fa ed era già ritornata nel suo Paese, in Medioriente. Da alcune settimane, però, è tornata in città appositamente per formalizzare la separazione rispetto a un matrimonio contratto nell’aprile del 2019 in Comune, con un uomo con cui ora non ha più contatti. Una volta fissata la data dell’udienza in Tribunale, ha quindi fatto il biglietto aereo ed è giunta qui. 

L’atto di separazione è necessario in quanto ha allacciato una nuova relazione sentimentale nel suo Paese. Ma lì è vietato per una donna formalmente sposata la convivenza con un altro uomo, una situazione che può essere interpretata come una forma di adulterio, che nel diritto islamico è severamente punito in particolare quando è la donna a compierlo. L’omologa della separazione dovrebbe avere un iter veloce, dal momento che non ci sono figli minori e rapporti economici in atto con il precedente compagno. Tuttavia, dopo 4 mesi dalla richiesta in Tribunale, l’udienza per la separazione legale è stata posticipata già due volte: prima era prevista per il 9 marzo, poi un’altra che si sarebbe dovuta tenere oggi, giovedì, poi un ulteriore rinvio al 27 aprile. E intanto la giovane vive da un mese e mezzo in un appartamento preso in affitto, in attesa dell’incontro col giudice. Ed ora a quanto pare ci dovrà rimanere ancora un mese, se i tempi non saranno accelerati.

L’appello della donna, a concludere in fretta l’iter nel tribunale italiano, arriva tramite il legale che sta seguendo la sua causa, l’avvocato Maurizio Ricci del Foro di Forlì. Oltre al fatto delle ingenti spese che sta sostenendo in Italia, la 26enne teme in primis per la propria incolumità fisica a causa di ciò che è considerato vietato per una donna sposata nel suo Paese di origine (ma che non lo è in Italia), come per esempio convivere con un altro uomo. Oltre alle pene corporali previste dal diritto di famiglia islamico, in società maschiliste tali situazioni comportano spesso anche il biasimo sociale e l’emarginazione.

“Il problema è essenzialmente di natura culturale, in questo caso: la mia assistita teme conseguenze personali per la sua salute se tale situazione dovesse prolungarsi ulteriormente”, sintetizza l’avvocato Ricci nella richiesta di anticipo dell’udienza. Visto che i Paesi islamici ammettono la poligamia solo per gli uomini (anche se poi non è molto fruita per una serie di obblighi anche del marito), il problema sarebbe meno grave se fosse un uomo a trovarsi nella situazione descritta. Tuttavia l’istituto del divorzio, attivabile anche dalla donna, è previsto nella gran parte dei diritti di famiglia dei Paesi musulmani, per cui l’annullamento dell’unione contratta in Italia (che ha valore legale in quasi tutti i Paesi islamici) permette alla donna di rifarsi una vita con un altro compagno. 

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